Da poco diffuso l’ennesimo pettegolezzo politico. Nel mare agitato del contratto di Governo, con i flutti spumeggianti dei cospicui cambiamenti, si naviga a vista.
Ad animare il cadavere dell’interesse, quell’interesse rivolto alla politica, gli exploit dei Ministri. Salvini stringe alleanze europee noncurante di chi sia il suo interlocutore. Di Maio decide che è ora di palesare la sua esistenza.
Precedentemente messo in ombra prima dal collega nordico, poi dal padre imprenditore, ora dice basta e scatena la sua agenda di politica estera. Dichiara di essere dalla parte dei gilet gialli. Si, quelli francesi. Quelli che avevano da poco divelto un portone principale di un ministero, costringendo il Ministro alla fuga grazie alla porta posteriore.
L’onorevole italiano oltre a dimostrare scarsa empatia verso i colleghi dimostra di non comprendere pienamente i tumulti francesi.
Certamente tutti noi abbiamo simpatizzato all’inizio con le prime ondate di protesta. Da pendolari abbiamo empatizzato verso il rincaro dei carburanti.
Abbiamo fantasticato di assistere in diretta ad una rivoluzione francese! Miseri noi. Andiamo per ordine così da rendere chiaro il punto di vista sulla sponsorship pentastellata. Rincara il costo al dettaglio del carburante transalpino, un gruppo forse spontaneo si forma e si da un’immagine, simbolo, per poi aprirsi ad ogni istanza possibile.
Quindi il movimento dei forconi, ehm dei gilet gialli – scusate – è transideologico oppure transreazionario. Ora che sono forgiati dagli scontri in strada entrano nei ministeri.
Non fraintendete! Sono d’accordissimo nel mettere a ferro e fuoco un Paese! Espropriare a chi ha di più, ripartire con la violenza le risorse, incarcerare i corrotti, mandare in esilio le caste democristiane della politica e via dicendo. Ma non è questo il caso.
Io parlavo espressamente di una rivoluzione. Quella che rivolta l’ordine costituito. La sommossa totalizzante che nei bar tutti anelano, salvo poi temerla perché il lavoro è importante e non abbiamo mai tempo (come no).
Se in un bar l’onorevole Di Maio avesse espresso il suo punto di vista, per quanto superficiale, non ci sarebbero stati problemi. Avrebbe ricevuto pacche di sincera ammirazione, avrebbe pagato il caffè e via verso nuove avventure.
Ora il Suo Ruolo dovrebbe, quantomeno, obbligarlo alla pacatezza e al comprendere che se guadagni tutti quei soldi con la politica (e hai anche una poltrona importante) non puoi fare il Che Guevara dei poveri.
Al netto dell’attuale natura del movimento dei gilet gialli non è auspicabile, per un politico europeo, simpatizzare con disinvoltura.
Non entro nel merito dell’inconsistenza economica della protesta di alcuni francesi. Il prezzo è deciso dal mercato, non può essere imposto dallo Stato. Si può agire sul prezzo del carburante mediante le accise o le imposte ma pagando lo scotto che uno Stato sociale deve considerare: contrazione del walfare.
Negli Stati europei, in larga parte di loro almeno, il costo maggiore nel Bilancio è dato dalla spesa sociale: pensioni, sanità e assistenze varie. Quindi gran parte dei nostri tributi sono rivolti al mantenimento di questo standard di assistenza.
Che abbia delle storture non lo metto in dubbio ma non è questo l’articolo per parlarne. L’ondata per ridurre le tasse e chiedere più assistenzialismo non poteva non sedurre il massimo, attuale, rappresentante dei 5 Stelle. Coerentemente, infatti, sostengono chi come loro protesta con lo stesso tenore irrazionale. La botte piena e la moglie ubriaca.
È necessario entrare però nel merito concettuale di quanto sta accadendo. Una rivolta che chiede a gran voce, semina distruzione e causa morti: ma che ha il timore del cambiamento. Gli attuali slogan politici sono ben chiari. Tutti cambi affinché nulla sia diverso.
Sembra un’ossessiva lotta alla sopravvivenza, dove il cambio della forma non enficia il cambio della sostanza. Non dobbiamo invidiare, noi italiani, presunti movimenti che pretendono di aver voce senza prendersi responsabilità.
Ci aspettiamo una marcia indietro da parte del nostro Ministro del Lavoro e una smentita (se ci scappa anche qualche riforma del lavoro ma non voglio mettere fretta). Nell’attuale clima europeo aver questo attrito con la Francia non è auspicabile, per un Paese Fondatore come il nostro.