«Questo gesto assurdo condanna tanti di noi, di noi che facciamo parte di un determinato mondo moderno, un mondo che ci ha presi e non ci lascia più».
Queste le parole di Lello Bersani, in quel servizio straziante del Tg1 datato 27 gennaio 1967. Non un giorno qualsiasi per la storia della musica italiana. Non un giorno qualsiasi per l’Italia.
Alle ore 2:10 del 27 gennaio 1967 il cantautore Luigi Tenco fu trovato morto nella sua stanza d’albergo, la 219 della dependance dell’Hotel Savoy di Sanremo. La polizia comunicò poi ufficialmente di avere rinvenuto nella stanza 219 sia un biglietto che l’arma di Luigi Tenco, una Walther Ppk 7.65 regolarmente detenuta dal cantautore.
Il biglietto riportava le spiegazioni del gesto e un augurio che definire utopico è un eufemismo «Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta […] spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi.»
Questo articolo non cerca certo di porsi nel dibattito (ancora vivo) del caso Tenco, dopo gli innumerevoli speciali televisivi l’Italia ha ormai deciso cosa successe quella notte. L’intento di questo testo è quello di comprendere le parole di Bersani citate poc’anzi. Quel “mondo moderno” che aveva ormai catturato chi viveva del/nel mondo dello spettacolo. Quel mondo che aveva dato a “Ciao, amore ciao” 38 voti su 900 e che aveva creato un sistema che a detta di De André avrebbe potuto solo giudicare le “ugole” in quanto i sentimenti non potevano certo essere argomento di competizione.
La morte di Tenco, nel 1967, e l’intervista di Faber a Biagi del 1985 avvengono in due momenti diversi della musica italiana. Il festival di Sanremo del 1966 aveva visto la vittoria di Modugno e della Cinguetti, quello del 1967 di Claudio Villa mentre l’edizione successiva fu vinta da Endrigo e Carlos. Nel 1984 a vincere Sanremo furono la coppia Albano e Romina Power, mentre l’anno successivo “I ricchi e poveri” ed infine nel 1986 il giovane Eros Ramazzotti.
Due momenti ben distinti che rispecchiavano anche il loro contesto storico. Da una parte la canzone d’amore, con quella nota «malinconica ed assente»; una nota spazzata via dagli anni delle rivoluzioni accompagnate da un rock che andrà poi scemando in quel pop dagli anni «allegri e depressi di follia e lucidità» degli anni Ottanta. Due momenti che però condividevano le stesse sorti: quelle di finire inghiottiti dalle logiche di un mercato sempre più dettato dai consumi e sempre meno attento ai sentimenti.
Ad oggi, si celebrano giornate in memoria di; si creano premi per ricordare chi; si scrivono libri o si realizzano fiction per non dimenticare. Ciò che manca veramente, è il rispetto. Perché «la logica del topo» finisce inevitabilmente per essere mangiata da «la logica del gatto» per citare “La cultura sottile” di Fausto Colombo; le strategie di intrattenimento finiscono per essere incanalate in quelle dei consumi di massa che alla fine, portando i contenuti ad essere meri prodotti da esporre in vetrina.
Ma gli italiani dopotutto «son brava gente» e nessuno di loro avrebbe mai osato dire alla Martini che portava “sfortuna”, figuriamoci criticare “il Califfo” per la sua vita personale. Un Paese che non riesce ad affrontare la morte o che vede in essa la visione cristiana dell’assoluzione invece che rispettarne la fine.
Se il 1985 aveva segnato il distacco dal 1967, c’è da chiedersi cosa ne penserebbero dei giorni nostri gli artisti dell’epoca. Giorni in cui il “trend” è “trollare” la Vanoni o la Berti; in cui il “like” è lo strumento di assuefazione di queste nuove masse con sempre meno identità. Masse che non aspettano altro che lo sbaglio per potersi drogare di share sui social. Così, in un Italia dove (Fonte Sipps) nel 2020 il 22,2% di coloro che utilizzano quotidianamente lo smartphone (85,8%) è stata vittima di atti di cyberbullismo, il Festival di Sanremo cambia location passando dalla provincia di Imperia a quella di Twitter dove impazzano milioni di tweet che criticano tecnica, prestazione, testo nonché atteggiamenti, espressioni e outfit sulla base del meme che potrebbe portare più like & share.
Così, l’edizione 71º del Festival di Sanremo, presentata come la più social di sempre, viene vinta proprio da coloro che sono andati contro la tendenza, contro il trend. Viene vinta dal gruppo che ha sintetizzato gli italiani dell’ultimo secolo in quel «zitti e buoni», da quel gruppo «diverso da loro» che forse finalmente segna quella spaccatura, che forse porterà a quell’agognato merito da dare all’artista prima della morte.
«È un risultato incredibile. Questo paese è cambiato» queste le prime parole rilasciate a Sorrisi dai Måneskin, non appena vinto il prestigioso premio.
Questo Paese può veramente cambiare? Si può veramente sovvertire il modus operandi dell’industria culturale e delle strategie dei consumi di massa? Quel mondo moderno, come è stato creato può anche giungere ad una fine e la domanda che si pone è se il topo alla fine, è riuscito a salvarsi.