Mario Draghi, dopo essere stato tirato in ballo da tutti, politici e cittadini più audaci nel commento della cosa pubblica via social, salirà al Colle oggi alle 12 per ricevere il mandato esplorativo da parte del Presidente Mattarella. È un momento segnante per la storia della politica italiana: da una parte la pandemia, che non si arresta, dall’altra il fallimento della classe parlamentare di oggi, incapace di anteporre il bene nazionale alle pretese di palazzo.
Alla luce degli eventi, l’incarico assegnato a Roberto Fico sembra essere stato uno specchietto per le allodole, nel rispetto, comunque, della prassi istituzionale. Infatti, i presupposti affinché il Presidente della Camera non riuscisse a ricucire l’astio tra i partiti dell’ex maggioranza erano evidenti. Il tentativo, però, c’è stato, ed è stato vanificato ieri, prima a causa del diniego di Renzi, poi anche per via di un’ulteriore spaccatura tra i grillini, con l’uscita di Carelli. I partiti, al momento, si trovano costretti a prendere una posizione netta in tempi celeri: ciò permette a FI e a una parte della Lega, magari quella giorgettiana, di salire sul carro del tecnico; d’altro canto, mette in difficoltà le scelte di Fratelli d’Italia, che ha sempre invocato l’urna, ed è stata smentita con autorevolezza dalle parole di Mattarella. Renzi è stato tra i primi a mostrare cordialità nel dialogare con un terzo, a maggior ragione ora che si tratta di Mario Draghi, e i motivi dell’apertura di Iv sono facilmente riscontrabili nelle percentuali irrisorie che il partito avrebbe attualmente. Il Movimento 5 Stelle, il quale ha fatto della battaglia ai tecnici un motivo di propaganda, voterà contro la decisione del Capo dello Stato. Tra essi, ci sarà qualcuno che, per l’ennesima volta, si manifesterà incoerente alle posizioni radicali o rinuncerà alla poltrona, obbediente al reggente del Movimento? Il dilemma non è così arduo da sciogliere.
Per ciò che riguarda l’ex Bce, il lavoro che si troverebbe davanti è assai difficile, nell’eventualità che l’iter costituzionale porti alla formazione di un esecutivo da lui guidato. La sua è una capacità indiscussa, la stima di cui gode all’estero è ben nota ed elevata, d’accordo, ma chi lo circonda? Si gioisce quando l’intero asset parlamentare è unito, solido e in grado di supportare le mosse di un abile tecnico – perché questo è un elemento in più da non dimenticare. Tuttavia, quant’è credibile un governo Draghi, fondato sulle ceneri di un governo con Luigi Di Maio alla Farnesina? È un errore credere che il passato si possa dimenticare con la chiamata del bravo. Il bravo è tale se, nelle vesti del leader della nave, ha dei validi marinai. Il rischio è che Draghi si carichi sulle spalle il peso dell’incompetenza di chi lo attornia e di chi, negli ultimi anni, ha contribuito allo sfacelo del Paese.
L’importante, così da avere mente lucida nella riflessione, al netto delle tifoserie che l’annuncio di Mattarella ha generato, è non scordare la natura dell’ex Bce: l’essere tecnico. Rispetto alla politica, la tecnica è tutt’altro: il politico viene eletto, pertanto deve piacere, e per piacere deve accondiscendere alle volontà popolari, anche se talvolta esse non gli appartengono; il tecnico, invece, è una figura iper-specializzata, che opera “a barra dritta”, col solo interesse di concludere il proprio lavoro, anche whatever it takes, costi quel che costi. Ciò è un’arma a doppio taglio, giacché la cosa pubblica, altresì in tempi di emergenza, non è da amministrarsi con unidirezionalità. La crisi pandemica ha causato, a mo’ di matrioska, una crisi politica, una sociale, una economica, un’altra finanziaria e una, profonda, all’interno delle imprese e nel lavoro. Come può uno solo al comando arginare tutto ciò, senza l’aiuto di altri come lui?
Ecco perché, con buona probabilità, sì sarà Draghi, ma Draghi senz’ali. Un’aquila in un pollaio, insomma, che prova a volare ma intorno a sé trova soltanto la testarda caparbietà di chi continua a beccare il mangime rimasto, incurante che per procurarlo serve battere le ali e andar fuori a fronteggiare il pericolo. Certo è che, infine, un tecnico in politica è il fallimento della politica. Ovvero di una classe dirigente che, per sputare fuoco, cerca chi sappia già farlo per natura, senza imparare essa stessa come si faccia.