L’ossessione Draghi

Il governo Conte è in una fase assai difficile, braccato dai franchi tiratori e dall’opposizione che,  nonostante possa comunque fare di meglio, si avventa come uno squalo su ogni passo falso della maggioranza. Renzi, seduto comodamente sul banco di chi decide, parla come un antagonista dei suoi compagni, indica la via e minaccia ultimatum verso chi non voglia seguirla. Il filo che lega le due forze di governo, M5S e PD, si è assottigliato: ormai resta solo l’istinto di sopravvivenza. C’è chi da settimane parla di rimpasto, un caro e vecchio espediente per la conservazione dei governi. C’è anche chi, invece, si spinge oltre e prevede uno spodestamento sul trono del Bel Paese, tira in ballo Mario Draghi, il quale, ogni volta che si presenta una crisi, viene chiamato a risolverla. 

Ossessione Draghi; ovvero lasciare il lavoro sporco a quello bravo e riprendere, poi, come se nulla fosse accaduto. Tuttavia,  la pandemia da Covid-19 non si farà dimenticare così facilmente, perciò “il bravo” non dovrebbe solo scendere come un deus ex machina, ripulire la strada dall’inesperienza degli altri, ma dovrebbe anche restare lì, con lo scettro in mano per molto tempo. Mario Draghi è un esempio di eccellenza italiana, uomo del fare, istituzionale, competente, risolutivo. Ma è anche un’utopia pensare di prenderlo dal suo mondo ed eleggerlo guida dell’Italia durante la recessione.

In primis perché un Paese non ha bisogno di leader già confezionati; l’esperienza di un altro insigne professore, peraltro omonimo, cioè Monti, ha lasciato un brutto ricordo in molti cittadini. Un “tecnico”, selezionato da altri, era stato chiamato a risolvere una crisi e l’ha fatto alla sua maniera, con distacco, forse senza prevedere le conseguenze di alcune sue azioni. Monti non era un politico. Poi ha provato a esserlo, ma politico, in senso nobile ed etimologico del termine, si nasce. O si diventa agli altri piacendo. Lo stesso ragionamento vale per Draghi. In secundis, egli ha sempre guardato con lontananza i corteggiamenti, anche se stavolta il suo silenzio lascia un po’ di ombre, dà pane quotidiano ai commentatori e fa sperare i draghisti, ovvero i membri di quel partito (mai nato e forse mai nascituro) che invocano l’ex capo della BCE ogni qual volta l’Italia ha il piede nella fossa. 

Dal canto dei partiti, il governo vede con astiosa diffidenza l’ipotesi Draghi. Boccia ha dichiarato a Repubblica che “se finisce quest’alleanza di governo, l’unica alternativa è il voto”. Sul fronte dell’opposizione, il nome Draghi è un modo per testare la consistenza della stabilità fra i partiti, ed è un espediente facile per mettere una spina nel fianco a Giuseppe Conte.

Tutti, sia a destra che a sinistra, sanno che le decisioni da prendere all’inizio del nuovo anno saranno fondamentali, pertanto nessuno vuole rinunciare a un posto nella sala dei bottoni. I 209 miliardi del Recovery Fund e qualche nomina sono un piatto irrinunciabile; i primi rischiano di diventare una mangiatoia bell’e buona, le seconde potrebbero costituire oggetto prezioso di scambio, a discapito della ripresa del Paese. Ecco perché la classe politica, in toto, abusa del jolly Draghi. A Palazzo Chigi sanno che difficilmente gli sottrarrà il posto, allora ne sfruttano la popolarità e ne cavalcano l’onda puramente mediatica. 

Fantagoverni, insomma. Che non fanno bene all’Italia, neppure solo al pensiero. Siamo sull’orlo del baratro, vediamo il fondo del burrone e anziché escogitare un’alleanza strutturale tra mondo dell’alta imprenditoria, della politica di diverso colore e della società civile, lasciamo che la fantasia prenda il sopravvento, un po’ per convenienza, un po’ per ingenuità. È così che i retroscena mangiano il Paese. 

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