Sono passati due giorni dalle inaccettabili affermazioni di Nicola Morra ai microfoni di Radio Capital, eppure il dibattito non si è ancora spento. L’attuale Presidente della Commissione parlamentare antimafia è andato giù pesante con le parole, irrispettose verso la compianta Santelli e tutti coloro che lottano contro malattie oncologiche. Il Centrodestra chiede, giustamente, le dimissioni; una parte della sinistra tace, l’altra con un filo di voce si discosta dalle dichiarazioni; i grillini, invece, prendono le distanze con nettezza.
Il problema, però, è più ampio e abbraccia gran parte della classe politica odierna: l’eleganza nei modi e nei discorsi è svanita, spesso, in favore del becero attacco personale, che stavolta non ha risparmiato neppure i defunti.
Un punto è fuori discussione, ovvero il fatto che Morra dovrebbe dimettersi. Per ottimismo e garantismo morale, si può immaginare che egli non volesse veramente attribuire ai calabresi la colpa di aver eletto una malata oncologica e che non abbia la mentalità secondo la quale chi è alle prese con un tumore non possa contribuire al bene di una regione, tuttavia tali affermazioni richiedono un passo indietro per dovere politico. Poco importa se coincidano col pensiero di chi le ha pronunciate, semmai quello dovrebbe essere un conto in sospeso che egli ha con se stesso, se davvero ritiene vere assurdità simili. Conta che in politica e nelle istituzioni nessuno può concedersi la libertà di sparare a zero su chi non c’è più, e se lo fa, si assume le responsabilità e ne accetta le conseguenze.
Anzi, ciò fa sorgere un interrogativo: perché nessuno ha mai detto in viso qualcosa del genere alla Santelli, quand’era in vita? Semplice responso: la codardia non lascia spazio al coraggio. C’è chi dice la sua quando il dibattito è impossibile, quando il discorso è unidirezionale; Morra ha fatto così. La Calabria da tempo è piena di problemi, tra corruzione e criminalità, perciò non occorreva parlare oggi. Egli è in politica dal 2013, sono passati diversi anni, eppure ha taciuto finora.
Appurato ciò, il discorso può essere inteso più generalmente: la politica attuale ha perso lo stile istituzionale di una volta. Con la complicità degli italiani, i quali, stanchi di una classe dirigente lontana dai canoni della popolazione, hanno portato avanti il populismo, il dibattito politico-mediatico è ridotto all’insulto, al meme, alla spettacolarizzazione di chi riconosce i problemi ma non offre le soluzioni. Negli ultimi anni, i membri della classe dirigente hanno gareggiato nella contesa di chi fosse più “normale”, più attraente verso l’elettorato.
Il politico, invece, non dev’essere “normale”, non deve conformarsi alla norma (in senso comune, non giuridico, s’intende), ma con classe e competenza deve guardare con lungimiranza al bene comune. L’attrazione con il cittadino avviene nel momento in cui l’uomo o la donna delle istituzioni dimostra capacità, non giacché prende i mezzi pubblici e rifiuta l’auto blu. Questo, purtroppo, ancora non viene compreso.
Perciò Morra è una goccia, sicuramente inquinata, nel più vasto mare dell’ineleganza politica, nel quale oggigiorno nuotano pesciolini camuffati da squali. Che, quando c’è da mordere, tornano indietro.