La scelta del premier di programmare una chiusura per regioni è il frutto di una lunga trattativa con le stesse, ciascuna delle quali ha tentato di tirare acqua al proprio mulino, tuttavia Conte è stato inamovibile. L’Italia è colorata di tre tinte diverse, dal giallo al rosso, ironico richiamo ai colori dei partiti di maggioranza, sulla base del livello di contagio.
L’ennesimo decreto, il quale dapprima sarebbe dovuto nascere anche grazie alla collaborazione dell’opposizione, che ha rifiutato, ha generato le solite incomprensioni: le bozze in circolo sui social network, un po’ vere un po’ mendaci, hanno alimentato l’incertezza tra i cittadini, soprattutto fra coloro che non sapevano in quale fascia di colore appartenesse la propria regione. Con la conseguenza che, il giorno successivo, avrebbero avuto il dubbio se lavorare o meno, se spostarsi o no.
C’è chi ha soffiato sul fuoco del retroscena, con l’idea che alcune suddivisioni siano un mero gioco politico. La Campania, ad esempio, è al centro della discussione, così come la Calabria, per l’inverso: dati alla mano (ovviamente non in tempo reale, perciò “vecchi”), la regione di De Luca conta + 4.100 contagi all’incirca, mentre quella guidata da Spirlì appena + 260, o giù di lì. Qualcuno lamenta poca trasparenza da parte della sanità campana, in contrordine rispetto alle dichiarazioni del governatore, che da settimane invoca un lockdown generalizzato. Proprio ieri, in un’intervista a Repubblica, Musumeci ha dichiarato che “la Campania è stata salvata, la Sicilia no. È una scelta politica”. Anche Fontana, piuttosto incomprensibilmente, in verità, ha gridato allo schiaffo ai lombardi.
E così, nella baraonda regionale, il governo prova a salvare la faccia, con la decisione di una chiusura differenziata. La scelta non è insensata, giacché ogni territorio risponde diversamente al dilagare della pandemia, perciò necessita di misure diverse. Ora, affinché tale volontà possa funzionare, sono necessari due atteggiamenti, uno da parte dell’opposizione, l’altro da parte delle regioni.
La minoranza deve collaborare, mettere da parte astio e faziosità (l’ascia di guerra deve essere deposta da entrambe le parti, s’intende) e sedersi al tavolo del governo. Il Paese ha bisogno di un Parlamento efficiente, non di gruppi politici che, nel decidere le sorti della nazione, si battagliano così come se fossero sotto elezioni.
Le regioni, d’altro canto, in considerazione del lockdown differenziato, non possono fare muro: occorre che i dati forniti siano completi, che le scelte di chiudere province e città siano maturate con sapienza e che il governo venga tempestivamente informato in merito alle decisioni autonome dei governatori.
Solo in un’ottica del genere, nello spirito di una leale cooperazione, lo Stato potrà sopravvivere all’ondata di recessione economica e di crisi sanitaria.