Tra gli inizi degli anni ’60 e la fine degli anni ’70 nacque a Roma una nuova forma di teatro che fu denominata in diversi modi: ricerca sperimentale, alternativa, avanguardia.
Si aprirono allora sale, garage, chiese sconsacrate, addirittura un ex convento ( chiamato “Convento occupato”), creando un’intima relazione tra il luogo e il progetto teatrale.
Fu un teatro fatto “in cantina” rinnovando il mito della Caverna di Platone e realizzando concretamente il verso poetico: “la vita, prima di essere reale, deve essere fantasticata”. In questi luoghi si realizzarono spettacoli che entusiasmarono anche le grandi firme della critica teatrale come A.M. Ripellino, Nico Garrone, F. Cordelli.
Accorreva anche un pubblico numeroso ed entusiasta formato da varie fasce sociali: studenti, intellettuali, operai. Rimbaud scriveva in una poesia: “trafitto dall’arcobaleno” e forse i “ragazzacci” che fondarono l’Avanguardia teatrale romana, furono trafitti dalla bellezza della poesia, dalla passione di creare un nuovo teatro, che trasmigrava dai luoghi deputati del teatro classico per entrare nel sottosuolo come se ci fosse un tentativo di ritrovare ciò che si era sedimentato nei luoghi più inaccessibili dell’anima.
Viene così superato lo schema con cui vengono messi in scena gli spettacoli nei teatri tradizionali.
Nelle cantine e negli spazi dell’Avanguardia romana, sono annullati il baratro psicologico e la separazione fisica tra il palcoscenico e gli spettatori; e viene soprattutto rifiutata la centralità del testo, a favore di una visione totale della rappresentazione, usando la musica come elemento essenziale, in appoggio al gesto e al movimento degli attori.
Questo fervore di rinnovamento teatrale e la volontà di incidere attraverso il teatro sulla realtà, si innesta su una spinta sociale italiana verso un rinnovamento totale delle istituzioni e dei valori. Pasolini disse che si crearono le “comunità di intellettuali”, esempio clamoroso fu il “Gruppo ’63”. Esso riunì autori e letterati come Eco, Arbasino, Sanguineti, Pagliarani e fu l’iniziatore di questo rinnovamento che diede poi inizio alla cosiddetta “Avanguardia romana”.
Carmelo Bene disse: “Io sono Shakespeare”. In questa frase ci sono i germi del rinnovamento teatrale apportato da Carmelo Bene. Egli infatti affermò che un testo deve essere destrutturato, riscritto dall’attore. Per questo fine, egli fuse testi di autori diversi, accompagnandoli con musica lirica ( come il celebre Homelet for Hamlet). Non ebbe timore di fondere la sua voce con la musica usando il microfono e riducendo il testo a un pre- verbale, cioè a un gesto sonoro. Fra tutti i teatri più emblematici dell’Avanguardia romana il più rappresentativo fu il “Beat 72”, aperto da Ulisse Benedetti.
Al Beat passarono artisti che poi divennero famosi da Carmelo Bene a Roberto Benigni, da Leo e Perla a Giuliano Vasilicò. Spettacoli come “Le 120 giornate di Sodoma” di G.Vasilicò e “Pirandello Chi? “ di Memè Perlini, “La Cimice” di Majakowskij fecero il giro del mondo.
Vi furono serate di poesia, di musica contemporanea, ma soprattutto il Beat 72, fu un asilo per tanti artisti e intellettuali. Sembra impensabile, che da una buia e umida cantina, sia nato tanto fermento culturale. Altri teatri dell’avanguardia furono “La Fede” di G.Nanni e M.Kusterman, “l’Aberico” di Donato Sannini (regista e poeta), “Spazio Uno” ( che era una ex rimessa per carrozze) di Manuela Morosini, “La Comunità” di G.Sepe, La Piramide di M.Perlini, “l’Abaco” di Mario Ricci e altri numerosi spazi.
Di tutto questo, ci sono poche testimonianze in video. Restano foto ingiallite, critiche su vecchi giornali, e molti dei protagonisti di quella memorabile stagione sono usciti dalla scena della vita. Ed allora diventa ancora più importante la memoria “delle cantine che soffiavano aria pura”.