I misteri di Beirut, la partita politica e il dramma civile

Beirut è in ginocchio e le possibilità di rialzarsi si contano sulle dita di una mano.

Il Libano, già scosso dalla recessione economica e dalle proteste riprese ad aprile, è costretto a studiare e svelare i misteri sull’esplosione al porto della capitale, sulla quale, agli occhi del mondo, un fitto velo di oscurità è ancora calato.

I numeri sono tragici: più di 135 morti, 5000 feriti, 300.000 sfollati e i dati forse sono in aumento. I retroscena della vicenda, che hanno alimentato le fantasie di analisti e opinionisti, sono da scoprire: esplosione dolosa o accidentale? Se dolosa, di chi è la mano assassina? Perché? Gli interrogativi proliferano.

Occorre, pertanto, analizzare la vicenda sulla base degli elementi finora noti e con ordine.

La situazione libanese e il 2020 all’insegna del negativo

La crisi scatenata dall’esplosione di martedì pomeriggio acuisce una situazione infelice che il Paese vive da tempo: la recessione e la crisi economico-sociale.

In particolare, in ambito politico, nel gennaio 2020 in Libano c’è stato il passaggio di testimone dall’ex premier Hariri ad Hassan Diab, già ex ministro della Pubblica Istruzione e appoggiato da Hezbollah nella sua più recente nomina a Primo Ministro; dal punto di vista economico, per via della recessione, nel 2020 si prevede una riduzione economica del 12% nel Paese, nonché un incremento dell’inflazione ormai dilagante, causa della perdita del 70% del valore della lira libanese nei confronti del dollaro statunitense (1 dollaro US = 1511,58 l. l.); ancora, se si considera il fenomeno migratorio, di cui il Libano in fatto di emigrazione è protagonista assoluto, va ricordato che il “Paese dei cedri” detiene il più alto numero di rifugiati pro capite al mondo; infine, dal lato sociale, la gente è sfiduciata verso il governo, a cui attribuisce la colpa della scarsa qualità della vita, della svalutazione della moneta – le banche, che in aprile furono assaltate, trattengono il denaro che resta, senza concederlo ai privati. La guerra civile che ha devastato il Paese tra il 1975 e il 1990 si è conclusa con un compromesso che aveva permesso alle diverse fazioni religiose di spartirsi il potere e i denari. Tale compromesso storico è diventato una rendita per la classe politica, a spese della gente, delle sue infrastrutture in rovina e della sua popolazione trascurata.

Nitrato di ammonio o esplosivo?

Se l’unica certezza fino giovedì era la detonazione da nitrato di ammonio, in verità alcuni esperti hanno sollevato dubbi anche in merito. Infatti, a giudicare dai filmati, giacché nessuno tra essi era sul posto al momento del botto, è emersa l’ipotesi che lì vi fossero depositate armi, anziché nitrato. È bene ragionare con cautela, dal momento che ogni pista potrebbe essere allo stesso tempo fallace e probabile. Tuttavia, qualora si accertasse che a esplodere fossero delle armi, la necessità di un’inchiesta internazionale (oltre che nazionale) diventerebbe impellente: di chi erano? Perché erano depositate lì, senza adeguato controllo? Per quale motivo sono state fatte esplodere? Si trattava di armi legittimamente denunciate, di proprietà del governo, o di terroristi? Sono stati citati sciiti, altri gruppi fondamentalisti, perfino israeliani. Tant’è che qualcuno (come riportava ieri Guido Olimpio sul Corriere della Sera online) ha supposto che Israele volesse distruggere uno dei bunker segreti di Hezbollah, inconsapevole dell’esistenza del nitrato (se ivi fosse nitrato) o degli effetti di esso.

Parallelamente, se restasse accreditata l’inchiesta sul nitrato, potrebbero porsi i medesimi interrogativi, soprattutto in merito alla sicurezza, poiché in uno snodo così essenziale quale il porto di Beirut, non devono esservi rischi/bombe sociali di alcun tipo.

Dramma umanitario e partita politica internazionale

La tragedia ha due facce, diverse ma altresì speculari, cioè da un lato l’intenso dramma umanitario, perché gli ospedali a Beirut sono collassati, non tengono i feriti che in gran parte sono curati in strada e tante strutture sono state danneggiate dall’esplosione; dall’altro lato la partita politica, nelle vesti dei principali leader dell’Occidente, divisi tra chi chiede la testa dei responsabili e chi, come Trump, fa luce a suo modo sulla vicenda affermando, sin dalla prima ora, che si sia trattato di terrorismo. Il più interessato, però, è Emmanuel Macron, il quale ieri era già in Libano, accolto da un bagno di folla e promittente aiuti e vicinanza. Tra il popolo libanese circola una petizione, che in 24 ore ha già raccolto oltre 50.000 firme, per rimettere il Paese sotto il controllo francese. Difatti, non bisogna dimenticare che fino al 1943 il Libano è stato protettorato francese, pertanto il legame tra i due Stati è forte, al punto che nonostante la lingua ufficiale sia l’arabo, il francese è diffuso e parlato fra la popolazione. Il leader francese si è mosso per primo, convinto che la giocata d’anticipo possa valergli il bottino in futuro. L’Italia, invece, che ha anch’essa interessi nel territorio (il contingente Unfil, ad esempio, è lì come forza di interposizione dell’ONU dal 1978), tace e tutt’al più Giuseppe Conte telefona al Primo Ministro libanese e invia esperti vigili del fuoco. Gli errori clamorosi, che giustamente hanno animato il web, dei vertici del M5S non necessitano di commenti, basta citarli, a prova che l’Italia geopoliticamente conta poco, al netto della sua posizione geograficamente strategica.

Per di più, il porto di Beirut fuori uso rafforza tre attori: Francia, Israele e Turchia. La Francia, in aggiunta a quanto sopra scritto, potrebbe lavorare all’allargamento del porto di Tripoli tramite le sue società private (come Sogreah); Israele in quanto è nemico giurato di Hezbollah; La Turchia per consolidare la sua ascesa geopolitica, nel solco di un’idea imperiale e nazionalista, sotto l’egida di Erdogan.

Giudizio sull’assassinio di Hariri, 2005, rimandato. Coincidenze?

In ultima analisi, è d’uopo menzionare la vicenda dell’assassinio dell’ex premier libanese Hariri nel 2005, la quale ieri avrebbe dovuto essere chiarita dall’Aja. Tutti gli indiziati, in contumacia, si rifanno a Hezbollah. Tale giudizio è stato rimandato a seguito dell’emergenza nazionale, nonché del lutto cittadino, proclamata da Hassan Diab. Senza fomentare complottismi inutili, i quali ingrasserebbero solo l’esercito dei media se venissero formulati convintamente e “a testa bassa”, tuttavia la coincidenza temporale esatta dei fatti lascia molti dubbi, anche in virtù del potere di Hezbollah nel Paese, organizzazione paramilitare riconosciuta da molti Stati come terroristica (USA, Canada, Israele, Regno Unito, Australia, Paesi Bassi; l’Ue non la ritiene prettamente terroristica, nondimeno il Parlamento Europeo nel 2005 approvò una risoluzione che accusava Hezbollah di aver condotto “attività terroriste”), la quale opera come partito politico e i suoi candidati partecipano alle elezioni legislative. Un unicum nel panorama mondiale, tra terrorismo e politica attiva.

Conclusioni e spazi di riflessione aperti. Necessità di un caso internazionale

Alla luce di quanto emerge dalle riflessioni sopra riportate, la vicenda è assai contorta, poiché ha tanti risvolti in contesti amplissimi, come l’economia, la politica nazionale e internazionale, la sicurezza, la società, il sistema sanitario.

Da un’esplosione è nato un fatto mondiale, che deve essere ritenuto un caso internazionale e posto all’attenzione della comunità, con la cooperazione del Libano. Solo così, allora, potrà essere fatta luce su tante ombre.

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