Vittorio Emanuele III: Re vittorioso, soldato, socialista, borghese

 “Re Vittorioso” o “Re soldato” (per essere stato costantemente presente al fronte durante la Prima Guerra Mondiale affidando l’incarico di Luogotenente allo zio Tommaso, duca di Genova) o, ancora, “Re Socialista” (per le sue attenzioni al sociale) o, anche, “Re Borghese” (per il suo appoggio a Giolitti), Vittorio Emanuele III si trovò a fronteggiare una situazione grave alla morte del padre ed eventi di grande rilievo della storia contemporanea. I giudizi su di lui sono diversi ma se occorre individuare i fondamenti di queste opinioni dobbiamo vedere detti fondamenti in un grande rispetto per il gioco delle parti sociali e in una certa prudenza che lo ispirava nella guida dello Stato, questo nel bene e nel male. O meglio, questo è stato sia un bene che un male. Infatti, il rispetto del Sovrano per le prerogative parlamentari e la sua volontà di tenersi estraneo al gioco politico, il non ricorrere con la forza alla sedazione delle manifestazioni popolari che agitavano l’inizio del secolo (a differenza del periodo precedente in cui furono duramente represse in particolare dai governi Rudinì e Pelloux, azioni che portarono gli ambienti anarchici ad organizzare il regicidio), il cercare di evitare la guerra civile (nel 1922 rifiutandosi di firmare lo stato di assedio) hanno avuto dei risvolti negativi. Ma tutto ciò che l’essere umano compie ha dei risvolti negativi quando, pur avendo buoni propositi, non è solo lui ad agire perché chi gli è contro o chi ha interessi concorrenti fa del tutto per pregiudicarne gli effetti. La ferma convinzione di lasciare trovare alle parti sociali e politiche un accordo non ha portato che al complicarsi della situazione (su cui ha pesato notevolmente in termini di aggravamento e di tempo la Prima Guerra Mondiale) che ha visto nascere il fenomeno politico del fascismo; cercare di evitare un’eventuale guerra civile nel 1922 ha solo rimandato lo stesso scontro di vent’anni. I rapporti di Vittorio Emanuele III con il fascismo non sono mai stati buoni ma il fascismo tornava utile al Paese, secondo l’ottica del Sovrano, in quanto garanzia di ordine ed efficienza. E del resto era questo ciò che altri Paesi vedevano nel fascismo tanto che buoni rapporti li ebbero con Mussolini fino alla Guerra di Abissinia come del resto, giusto per fare un esempio, anche con un altro dittatore fascista, Francisco Franco, che tenne indisturbato il potere in Spagna fino al 1975, morendo di vecchiaia.

Vittorio Emanuele III compensò carenze fisiche e caratteriali (conseguenze di quelle fisiche) con gli studi tanto da acquisire competenze (in particolare di numismatica, storia e geografia) che gli valsero riconoscimenti sul piano internazionale tanto da venire richiesto varie volte come mediatore per trattati di pace. Frequentatore delle sedute dell’Accademia dei Lincei era appassionato anche di agricoltura (ed infatti fu lui a creare l’Istituto Internazionale di Agricoltura a Roma, ente per la cooperazione internazionale in ambito agricolo che, dopo la Seconda Guerra Mondiale venne assorbito nella F.A.O., organizzazione della quale ispirò la creazione).

Messosi all’opera neanche celebrati i funerali del padre, Vittorio Emanuele III convocò il Presidente del Consiglio, Giuseppe Saracco, e gli fece notare che sulla scrivania di Umberto I c’era un notevole numero di decreti da firmare che erano palesemente incostituzionali e alla risposta del Saracco, il quale sosteneva che al re non competeva valutare la costituzionalità o meno degli atti ma che si doveva limitare a firmarli e basta, il Giovane ribatté che da allora in poi il Re non avrebbe firmato gli errori degli altri.

Il 20 febbraio 1902 Vittorio Emanuele III fece il suo primo Discorso alla Nazione in Parlamento nel quale manifestava l’esigenza di dar luogo ad una vera giustizia sociale controllando i prezzi delle merci e prestando attenzione alle esigenze delle classi lavoratrici: “[…] è da quarant’anni fu garantita agli impiegati la sicurtà di giuridiche guarentigie. È debito ormai il mantenere. Giova al decoro e alla saldezza dello Stato che chi lo serve fedelmente sia per sanzioni legislative preservato dall’arbitrio o dal favore e nella tranquilla certezza delle proprie sorti, alle oneste fatiche trovi incoraggiamento e sostegno […]”. La sua attenzione alla sfera sociale e all’essere molto pratico verso lo Stato lo portava a mantenere separati l’ordine civile e quello spirituali, “onorare il clero ma mantenerlo nei limiti del santuario; portare alla religione e alla libertà di coscienza il più illimitato rispetto, ma serbare inflessibilmente incolumi le prerogative della potestà civile, i diritti della Sovranità nazionale” ricordando sempre “quello che è il supremo intento dell’Italia: la pace”.

Il Re, che aveva visto il maturare di accesi contrasti e scontri violenti tra le parti sociali era dell’idea di raggiungere la pace sociale eliminando “l’ardente contrasto tra capitale e lavoro”, come disse nel “Discorso alla Nazione del 30 novembre 1904.

In effetti, negli anni successivi e fino all’inizio degli Anni ’20 ci fu la produzione di tutta una serie di leggi (con, anche, la creazione di istituzioni preposte) volte a favorire le classi meno agiate nell’ascesa sociale, nella tutela degli interessi e nell’ambito della prevenzione e assistenza, tra le più importanti possiamo citare:

  • Legge 23/1901 per la tutela degli emigranti sia durante il viaggio che nel Paese estero meta del loro viaggio;
  • Legge 242/1902 per la tutela del lavoro delle donne e dei minori;
  • Legge 246/1902 per la creazione dell’Ufficio del lavoro;
  • Legge 251/1903 per la creazione dell’Istituto per la case popolari;
  • Regio Decreto 51/1904 per la creazione dell’Istituto contro gli infortuni sul lavoro;
  • Legge 376/1907 per la creazione dell’Istituto per la previdenza sociale;
  • Legge 489/1907 per l’istituzione della giornata di riposo settimanale;
  • Legge 767/1913 per la creazione di una Cassa per gli invalidi della Marina mercantile.

Ritengo inutile entrare nel merito dello sviluppo degli eventi dei giorni tra il 27 ed il 29 novembre che indussero Vittorio Emanuele III a conferire l’incarico a Mussolini, un incarico che ricevette la fiducia in Parlamento con 316 voti a favore, 11 contrari e 7 astenuti che diede vita al Governo Mussolini composto da nazionalisti, liberali e popolari (sarà in seguito, con le elezioni dell’aprile del 1924, che il Partito Nazionale Fascista avrà la maggioranza assoluta – grazie alla Legge Acerbo sul premio di maggioranza e dei brogli – in Parlamento di – soli – sette voti). Mussolini e il Re non avevano reciproca simpatia e stima, questo è ben noto, come ben evidente era anche una certa disarmonia tra Vittorio Emanuele III e Hitler.

 

Soffermiamoci solo sul perché, nonostante questo astio reciproco, sia il Re che il Duce non giunsero ai ferri corti (se non dopo l’O.d.G. di Dino Grandi) ma il Re venne esautorato dai propri poteri. Lo Statuto Albertino era una costituzione flessibile, cioè una costituzione che poteva essere cambiata con delle ordinarie leggi del Parlamento (cosa che non può accadere con la odierna costituzione che è in forma rigida e modificabile solo nella seconda parte con apposite leggi, mentre per la prima parte occorre l’istituzione di un’apposita commissione), cosa che fece il fascismo nel periodo di affermazione della dittatura: dalla fine di novembre 1922 al 3 gennaio 1925 il Partito Nazionale Fascista fece tutta una serie di modifiche all’impianto legislativo e costituzionale, prima con l’appoggio degli altri partiti e, successivamente alle elezioni del 1924 (vinte con i brogli e con la Legge Acerbo, legge che prevedeva il premio di maggioranza), da solo, potendo contare su una maggioranza di soli sette voti rispetto all’opposizione. Tra le leggi che vennero abrogate e sostituite vi fu anche l’articolo 5 dello Statuto che prevedeva i poteri militari (quindi il controllo delle Forze Armate e di Pubblica Sicurezza) al Re con una legge che conferiva questi stessi poteri al Duce, relegando il Re ad una figura puramente simbolica: quindi Vittorio Emanuele III non aveva alcun potere effettivo di controllo su alcun organo dello Stato. Mussolini, invece, da parte sua non poteva eliminare la monarchia per la popolarità che essa godeva presso il popolo ed una sua abolizione in favore di una repubblica (ricordiamo che il fascismo nasce come corrente politica repubblicana ed anticlericale) avrebbe potuto portare ad una guerra civile o perlomeno ad un crollo del gradimento del fascismo. Del resto i poteri li concentrava nelle sue mani lo stesso Duce, il quale, in accordo con Hitler, si riprometteva di realizzare una repubblica in un periodo successivo. Inoltre, come documentato da Galeazzo Ciano (Diari 1937-1943, Milano, 1946), Mussolini preferiva attendere la morte del Sovrano settantenne per mettere fine alla monarchia impedendo al figlio di succedergli. Di tutto questo importante testimonianza ce la forniscono documenti come il diario di Galeazzo Ciano, il quale aveva il compito di tenere particolarmente d’occhio il Re dopo l’approfondirsi del solco tra Vittorio Emanuele e Mussolini a seguito dell’avvicinamento, nel 1937, alla Germania di Hitler (da sempre il Re aveva privilegiato i rapporti con la Francia a scapito di quelli con la Repubblica di Weimar e, peggio ancora, con la repubblica nazista ci furono attriti maggiori (come la vicenda di Mafalda) ad alimentare il contenuto odio di Vittorio Emanuele per i nazisti).

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