Giù dalla cattedra: parlano gli studenti di No Maturità 2k20

Una mattina, a metà delle mie video-lezioni, mi sono preparata un caffè e ho fatto un giro su Twitter. Ho incontrato, così, per caso, la lettera aperta di un gruppo di studenti al ministro dell’istruzione, Lucia Azzolina. Mi sono lasciata incuriosire: il testo non era insensato, le argomentazioni non erano prive di fondamento. A parlare, sembravano ragazzi delusi dal mondo degli adulti, senza la presunzione di sapere cosa fare al posto loro ma con la voglia di proporre. Perciò, li ho contattati per un’intervista. Questi maturandi, tra una videolezione e l’altra, tra un decreto del governo e i compiti quotidiani, hanno trovato il tempo di metter su un movimento di coetanei: sulla loro pagina Instagram (nomaturita2k20, che dal 22 aprile conta 10000 seguaci) arrivano ogni giorno decine di testimonianze da tutta Italia, e il succo è che no, la Didattica a Distanza non sta andando bene, non sempre almeno. Ho deciso di incontrarli, almeno virtualmente, per conoscerli meglio e farli conoscere a voi. Concedetevi qualche minuti per ascoltare cosa hanno da dire, senza pregiudizi: in fondo, se siete insegnanti come me, potrebbero essere i vostri studenti. Se siete genitori, potrebbero essere i vostri figli. Se siete maturandi, questi potrebbero essere i vostri amici.

Innanzitutto, piacere di conoscervi. Come vi chiamate?

Siamo tre amministratori. Ci teniamo a rimanere nell’anonimato perché vogliamo che il volto di questa causa non sia il nostro, ma quello di più di 10mila persone. Siamo tre maturandi di un liceo del Veneto.

Vi va di dirci, in breve, come è nata questa esperienza?

Nel clima di incertezza creato da questa situazione di emergenza e alimentato dalla Ministra Azzolina, abbiamo ritenuto necessario sollevare il nostro pensiero, che ritenevamo comune a quello di molti altri studenti. Le nostre perplessità e le nostre proposte sono state rapidamente condivise e ci hanno spinto a continuare il nostro percorso, trasformando la nostra voce in quello che di fatto è diventato un movimento vero e proprio.

Qual è la vostra esperienza di didattica a distanza? Come state lavorando con i vostri docenti?

La nostra scuola si è organizzata relativamente bene fin da subito. Molti professori hanno iniziato le videolezioni già i primi di marzo. Tuttavia, fino all’8 aprile, non ci sono state disposizioni ufficiali a livello nazionale quindi la scuola e, nello specifico, ogni insegnante ha dovuto elaborare un proprio metodo per la didattica a distanza. Metodi che sono variati spesso nel corso di questi mesi. Abbiamo avuto anche insegnanti, però, che hanno cominciato a fare videolezioni solo i primi giorni di aprile. Molti professori hanno assegnato capitoli da studiare individualmente e carichi di compiti che normalmente non sosteniamo.

Ora abbiamo un calendario settimanale delle videolezioni e delle videointerrogazioni mattutine e pomeridiane. Sappiamo, però, che in tante altre scuole le cose stanno andando molto peggio.

Ci sono spazi di confronto su questa esperienza con i vostri docenti? Riuscite a trovare punti di incontro?

I rapporti con i docenti non sono cambiati. Quelli che prima erano collaborativi, positivi e disponibili lo sono anche ora. Sono disposti ad aggiornarsi in campo tecnologico e riconoscono le nostre esigenze. Chi, invece, era scontroso e avverso a scuola è rimasto tale. Se si chiede ad alcuni professori di diminuire i compiti assegnati per casa non si viene nemmeno presi in considerazione. Alcuni si rifiutano di utilizzare le piattaforme digitali fornite dalla scuola perché si trovano meglio con altre. Altri fanno verifiche su argomenti che abbiamo affrontato con uno studio individuale. Inoltre, sappiamo che alcuni insegnanti stanno imponendo agli alunni di stare bendati durate le interrogazioni, per evitare che copino.

Stai ricevendo molte storie di ragazzi come voi: quali sono quelli che vi hanno colpito di più, che vi hanno convinti a non fermarvi?

Ne citiamo alcune:

“Mia mamma è stata contagiata dal Covid-19. Io sono stata ricoverata in ospedale per due giorni”. “La scuola a distanza stressa molto.”

“Una mia compagna di classe ha contratto il Corona virus, come tutta la sua famiglia. Non la vedo da una settimana. In tutti questo i professori stanno facendo lezione come se non fosse accaduto nulla”.

“Siamo in sei in una casa piccolissima, non ho una stanza personale, né un angolo tranquillo dove seguire le videolezioni”.

“Devo condividere il mio unico computer con le mie due sorelle dislessiche. Ho chiesto aiuto alla scuola ma non ho ricevuto niente”.

“Mia madre ha un tumore da 7 anni e si ubriaca quasi ogni giorno”. “Che provino i professori a studiare ogni mattina con una mamma che ti urla contro”.

Alcuni ragazzi stanno vivendo la maturità in condizioni terribili.

Ci ha colpito la fiducia che hanno risposto in noi, i ringraziamenti quasi ingiustificati, la loro convinzione di poter finalmente manifestare la loro volontà attraverso il nostro contributo.

In Francia, i ragazzi dell’ultimo anno torneranno a scuola prima degli esami, mentre gli studenti olandesi non avranno alcun esame. Che cosa proponete al ministro dell’istruzione, Lucia Azzolina?

Tornare prima del 18 maggio è impossibile. Fare l’esame in presenza sarebbe rischioso a livello sanitario (studenti, insegnanti, personale ATA e presidenti di commissione negli stessi spazi). L’esame online non è applicabile per molti studenti. La didattica a distanza non ha raggiunto tutti, quindi non ha preparato tutti per l’esame. Mettere in gioco 60 punti su 100 con una prova orale significherebbe snobbare cinque anni di lavoro. L’esame sarebbe così incompleto e profondamente influenzato dalla situazione psicologica di dolore che tutti gli italiani stanno vivendo.

Noi proponiamo di valutare in base al curriculum scolastico dello studente. Quindi media degli ultimi tre anni moltiplicata per 10 a cui si somma un bonus di 0-10 punti (compresa la lode) assegnato dalla commissione interna considerando percorso scolastico, miglioramenti, impegno, alternanza scuola-lavoro e partecipazione dello studente alla didattica a distanza.

In questo modo, di fronte all’impossibilità di fare un esame meritocratico (se mai lo sia stato), si darebbe rilievo a chi ha lavorato con costanza e impegno.

Avete giustamente sollevato una questione che sta passando in sordina, quella dell’esame per i privatisti…

I privatisti ci hanno implorato di fare qualcosa per loro. Il trattamento che finora è stato loro riservato è assurdo: saranno obbligati a svolgere l’esame a settembre. Questo significherebbe non permettere loro di accedere all’università, facendogli perdere un anno di studi.

Andiamo un po’ oltre questa esperienza: quali sono gli aspetti della scuola italiana che dovrebbero cambiare, secondo voi?

La lista sarebbe lunga.

Prima di tutto l’esame. Studiare una tale mole di argomenti di diverse materie e collegarli tra loro non ha niente a che vedere con lo studio di ogni singola disciplina divisa dalle altre, avvenuto durante i 5 anni. L’esame conta per 60 punti su 100 mentre una tesi di laurea influisce sul voto finale per 6/7 punti. 5 anni di studio valgono davvero così poco?

Poi la didattica. Si sta rivelando antiquata. Dovrebbe essere più tecnologica, stimolante, interattiva.

Gli orari. Abbiamo compagni di classe che si devono alzare alle 5 del mattino ogni giorno per venire a scuola. All’estero iniziano più tardi.

Il programma di storia. Si inizia dai Sumeri e si finisce, se va bene, con la Seconda guerra mondiale. Dove mettiamo tutto il resto del ‘900, la rinascita dell’Italia, l’Unione Europea, “Mani pulite”, gli anni 2000? Sono passaggi della storia più recente che i nuovi adulti, che acquisiscono il diritto di voto, dovrebbero conoscere.

Puntare di più sulle lingue straniere. In particolare l’inglese.

C’è un salto immenso tra scuole secondarie e università o lavoro. Ci vuole una regolare trasformazione dell’approccio scolastico richiesto allo studente che favorisca lo sviluppo dell’autonomia e dell’indipendenza. Il programma degli istituti tecnici e professionali deve essere, anno per anno, sempre più finalizzato all’inserimento nel mondo del lavoro. Il programma dei licei deve essere sempre più finalizzato all’università, che in Italia è ancora troppo selettiva (ci riferiamo ai pochi posti disponibili e ai test di ammissione).

Ci sono dei punti di forza nel nostro sistema di istruzione?

Certo che sì. La scuola italiana è veramente aperta a tutti. A differenza di ciò che avviene in molti altri Stati, in Italia non vengono fatte distinzioni economiche. La scuola aiuta le famiglie e l’obbligo scolastico fino ai 16 anni è una tutela importantissima. In Italia, inoltre, alcune materie umanistiche (storia, filosofia, storia dell’arte) vengono affrontate con una cultura e una dedizione tali da trasmettere agli studenti il vero significato del patrimonio storico-culturale di questo Paese.

Una domanda-bomba, per chiudere: ti piacerebbe diventare un insegnante, nel nostro Paese? La consideri un’opportunità valida per i ragazzi della tua generazione?

Nessuno di noi ha in mente di fare l’insegnante. Se lo facessimo sarebbe di sicuro per l’amore per la materia e per le sensazioni che solo una classe di ragazzi sa trasmettere. Certamente non siamo innamorati dell’ambiente scuola visto dal punto di vista dell’insegnante. Fare il professore non sembra essere un’opportunità valida al momento: sappiamo che lo stipendio viene spesso criticato se paragonato alla responsabilità associata a un tale lavoro e che i giovani insegnanti faticano a entrare nel mondo della scuola. Abbiamo visto molti docenti precari nel nostro percorso scolastico che, come meteore, passano di anno in anno da una scuola all’altra o addirittura sono costretti a rimanere a casa.

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