L’emergenza COVID-19 divide i vertici del calcio italiano: sul tavolo salute e interessi economici
La Serie A e il Coronavirus, la resa dei conti… in rosso. Sì, perché le perdite generate dall’espansione del COVID-19, su scala nazionale prima e globale poi, pesano come un macigno sul futuro dei club. Fermarsi o continuare? Il dubbio amletico che da circa due mesi attanaglia i vertici del calcio italiano, alle prese con una situazione economica alquanto deficitaria da un lato e la tutela dei propri atleti dall’altro, bersaglio facile di un virus che sembra non conoscere barriere.
Durante la primissima fase dell’emergenza sono state ipotizzate una serie di soluzioni che hanno spaccato in due il cosmo principale del pallone nostrano, tuttora nel pieno della controversia: campionato concluso senza l’assegnazione del titolo; scudetto assegnato alla prima in classifica con conseguente congelamento della graduatoria (qualificazioni in Champions League/Europa League stabilite in base alla classifica attuale); retrocessioni bloccate e promozioni annullate nelle categorie inferiori, all’interno delle quali potrebbero proliferare una miriade di ricorsi, dalla Serie B ai più svariati contesti regionali ove il rischio “fallimento societario” è una questione praticamente all’ordine del giorno.
Ma c’è una luce in fondo al tunnel, quella rappresentata dal lieve calo dei contagi registrato nelle ultime settimane; e allora ecco che si fa strada l’ipotesi “ripresa a fine maggio”: il Consiglio di Lega vorrebbe dare al più presto il via agli allenamenti nei rispettivi centri tecnici, purché dotati delle massime norme di sicurezza e garanzie tecnico-scientifiche (test molecolari e sierologici), per poi ripartire dalle due semifinali di ritorno di Coppa Italia, Napoli-Inter e Juventus-Milan, proseguendo – indicativamente intorno al 31 maggio – con il campionato di Serie A sino a metà luglio, periodo nel quale dovrebbe tornare a disputarsi la fase finale delle competizioni continentali, che rimpiazzerà di fatto l’Europeo rimandato al 2021.
In ogni caso è necessario sottolineare che l’OK definitivo spetterà al ministro Vincenzo Spadafora: la speranza del mondo del calcio italiano – un’industria che vale cospicui punti percentuali del PIL nazionale – è che si possa terminare la stagione con ogni mezzo possibile. A scoraggiare, tuttavia, le aspettative del presidente FIGC Gabriele Gravina sono le dichiarazioni rilasciate a RaiNews24 da Sandra Zampa, la quale reputa “molto difficile la riapertura per il calcio” perlomeno nell’immediato: un dibattito etichettato dalla sottosegretaria alla Salute come tutt’altro che prioritario, al quale si può rinunciare quantomeno per un mese.
E se si parla di rinuncia bisogna senz’altro menzionare i meriti di Juventus e Parma nel ratificare un accordo con i propri tesserati circa la sospensione di almeno una mensilità. Un più che apprezzabile sacrificio che vede il suo apice in terra spagnola dove i calciatori del Barcellona, oltre a rifiutare il 70% del proprio stipendio per i prossimi tre mesi, verseranno personalmente una quota per permettere ai dipendenti del club blaugrana di continuare a ricevere il 100% del salario previsto.
Una pandemia che ha dunque sconvolto i piani di un intero universo, sia sportivo che economico. Il business che ruota attorno ai club – delle vere e proprie aziende, doveroso rimarcarlo – sta subendo un attacco frontale da un nemico invisibile ma al tempo stesso reale. Ciononostante risulta fondamentale che ai diritti televisivi & co. venga anteposta, senza se e senza ma, la salvaguardia di chi scende in campo: la Serie A può anche tornare a riprendersi la scena che merita, a patto che sia preservata la salute di ogni singolo protagonista.