Per molti di noi, quello che stiamo vivendo, sarà il periodo più duro di cui potremo avere memoria. Un nemico invisibile, la necessità di rimanere isolati all’interno delle nostre abitazioni, il sospetto che si insinua nelle nostre menti ogni volta che incontriamo un’altra persona. Dopo la pandemia il mondo sarà molto diverso, i rapporti saranno diversi, così come tantissimi altri aspetti della nostra quotidianità.
Anche la Pasqua sarà diversa, nonostante qualcuno invochi la riapertura delle chiese in vista di questa importantissima festa cristiana. È vero, la preghiera per molti di noi è importante, ma non può esserci un’anima sana in corpo malato. Troppe volte, durante questa “guerra”, si è giocato sulla paura delle persone, sulle loro debolezze, andando a toccare nervi scoperti per costruire, a tavolino, polemiche ed esasperare, ancor di più, la situazione.
Nel 2013 Papa Francesco ci aveva detto che “essere cristiani non si riduce a seguire dei comandi, ma vuol dire essere in Cristo, pensare come Lui, amare come Lui. È fare che prenda possesso della nostra vita e la cambi, la trasformi”.
Invece di issare la bandiera di un cristianesimo radicale, oltretutto male interpretato, dovremmo tornare a un sentimento d’amore, oltreché di responsabilità. Restare a casa, quando fuori il mondo trema davanti al Covid-19, è un grande gesto d’amore. Rinunciare a un po’ della nostra libertà, della nostra gioia, dei nostri desideri odierni affinché, presto, potremo tornare a stare bene, insieme.
Non possiamo vanificare settimane di sacrifici per un puro egoismo. La riapertura delle chiesa a Pasqua è una mera bandiera fatta di demagogia e propaganda che nulla ha a che fare con la fede. Chi vuole parlare di Cristo racconti il suo messaggio di misericordia, la compassione con la quale accarezzava gli infermi, il coraggio con il quale è andato sulla croce perdonando i suoi carnefici.
Il messaggio cristiano è troppo grande, troppo profondo, troppo importante per diventare il capro di un “sacerdote” che, ogni giorno, compie sacrifici all’idolo del consenso.
Il Vangelo di Matteo recita: “Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi.” All’altro Matteo vorrei chiedere quando ha praticato tutto questo.
Teniamo, quindi, chiuse le nostre chiese e apriamoci a un senso molto più profondo del messaggio di Cristo.
A me non importa chi lo abbia detto: Salvini ha fatto una affermazione che corrisponde al mio pensiero, che dovrebbe essere il pensiero di chiunque si dica cattolico.
Perchè, se si va al supermercato o dal tabaccaio con ogni precauzione (distanza e tutto il resto), si può consentire accesso nelle chiese per la messa (aumento delle celebrazioni, ingresso contingentato e previa prenotazione, tipo lista di ingresso così da evitare calca).
Non si può essere cristiani solo se non c’è pericolo e va tutto bene: in ogni momento si deve e si può trovare il modo.
Perché un cattolico che – pur peccatore – sia davvero tale sa bene cosa è la Messa.
Padre Pio ripeteva che “il mondo può reggersi senza sole, ma non senza messa”.
A messa vado perché ne ho bisogno io, e non per mettermi alla pari con le richieste di Dio. È una necessità, come il mangiare.
E a chi ripete che “La messa in questo periodo puoi sentirla in tv, è uguale”, dico una sola cosa, così forse almeno intuite il concetto.
Spero che Conte decreti che da domani anche i supermercati siano chiusi.
Tanto, possiamo sempre toglierci la fame guardando ‘La prova del cuoco’ in tv, no?
il vero credente puo dialogare con Dio anche in casa sua seguiamo la messa in tv cio che ci manca e l eucaristia quella si puo fare spiritualmente dobbiamo essere forti nella fede solo cosi ne usciamo