All’inizio del diario, la vita di Anna è ostacolata dalle leggi razziali, ma è ancora piena e gioiosa. Ha tredici anni e un paio di corteggiatori; ha ancora il tempo di mangiare gelati da Delphi e da Oase, anche se le tocca già andare dal dentista a piedi, perché gli ebrei non possono usare i mezzi pubblici. Riceve un diario per il suo compleanno, ma anche fiori e ninnoli, e va al cinema a vedere Rin Tin Tin. Trova persino il tempo di preoccuparsi per la sua pagella di studentessa ebraica.
La chiamata delle SS a sua sorella Margot, improvvisamente, cambia tutto il suo mondo. Anna racconta di essere fuggita con i suoi da casa sua sotto una pioggia scrosciante, dopo aver lasciato i resti della colazione sul tavolo e indossando diversi capi di abbigliamento in più del necessario, neanche dovesse passare attraverso i controlli di Easy Jet.
Destinazione: il retrocasa, (Her Achterhuis). Vale a dire, una serie di stanze segrete ricavate all’interno del condominio nel quale ci sono gli uffici della ditta di papà Frank. Questa sistemazione ingegnosa diventa l’alloggio segreto per la famiglia di Anna, per i coniugi Van Daan, per il loro figlio Peter e per il dentista Alfred Dussel.
L’alloggio ha regole strette, ben più strette di quelle della nostra quarantena: silenzio per la maggior parte della giornata, tendine oscuranti alle finestre, turni per il bagno. Anna divide la sua stanza col dentista Dussel, che la domenica mattina ama fare esercizio fisico svegliandola. Pelar patate e farsi cavar denti diventano occasioni da non perdere, litigare diventa la regola. Crescere, una necessità. Patire la fame, un’incombenza frequente, anche se non mancano le mani amiche pronte a soccorrere i reclusi.
Se osserviamo uno qualunque dei nostri adolescenti in quarantena, ci facciamo un’idea lontana di cosa significhi, per Anna, passare lentamente dalla preadolescenza all’adolescenza in una condizione di isolamento e di continuo contatto con le stesse persone, per più di due anni. La voglia di libertà le fa cercare amore e affetto in continuazione; l’istinto di ribellione la fa scontrare con la mamma e Margot, le figure femminili che ama e odia, con le quali si confronta e si scontra, sentendosi in qualche modo da meno. Il papà resta sempre il suo eroe e l’unica voce che ascolta con docilità.
Finisce con l’intrecciare una acerba e dolcissima relazione con il giovane Peter Van Daan, ma la vera storia d’amore di Anna è quella con la scrittura, che smussa i suoi difetti e la rende più profonda di quanto non sia all’inizio della storia, più adulta di quanto avrebbe mai potuto essere se la sua spensieratezza non fosse stata spezzata a metà dalle leggi razziali e dalla guerra.
Il 1 agosto del 1944, Anna scrive l’ultima pagina del suo diario e si definisce “un fastello di contraddizioni”: non ancora carne né pesce, con l’Anna frivola che ancora fa capolino dietro la sua parte migliore che (così le sembra) non è conosciuta da nessuno. Pochi giorni dopo, la polizia irrompe nel rifugio e la porta via, a morire a Bergen Belsen con Margot. Mi piace pensare che, dopo l’ultima pagina, Anna sia salita in quella soffitta che le piaceva tanto, da dove poteva contemplare quel poco di sole estivo che la sua prigionia le lasciava godere; voglio credere che abbia respirato a pieni polmoni e si sia goduta, per un istante infinito, la consapevolezza di essere divenuta la versione migliore di sé stessa, giusto un istante prima di cadere nel baratro.
Quando lessi il Diario ero piccola anch’io e non colsi in quel momento la profondità di quel messaggio. Mi sembro allora solo una cosa crudele oramai avvenuta e irrimediabile. Mi accadde successivamente, da grande di capire. I racconti della guerra invece per voce dei miei nonni, che pur non ebrei, avevo dovuto scappare, erano le favole che accompagnarono tutta la mia infanzia e da questi ho cominciato ad elaborare un’idea di resilienza e resistenza. Ascoltare chi è passato attraverso un dramma è un dono prezioso che bisogna essere in grado di rielaborare per la propria crescita.