Italia, febbraio 2020. Francamente, se fossi Dio o qualsiasi altra entità divina e guardassi il Belpaese in questi giorni, tra supermercati saccheggiati, atti di violenza nei confronti dei cinesi e gente che fotografa scope in piedi, il dubbio di aver sbagliato qualcosa mi verrebbe.
Fortunatamente non sono un essere superiore, eppure il clima che si respira nel suddetto periodo turba non poco il mio animo. Credo sia evidente – a pochi per la verità – che esistano degli elementi di connessione fra i tre episodi sopra citati: su tutti, la proliferazione di fake news e la funzione dei media, sia tradizionali che digitali. Tralasciando la #BroomstickChallenge, sulla quale stendiamo più di un velo pietoso, concentriamoci sul ruolo ricoperto da tv, stampa e social riguardo la repentina espansione del Coronavirus/COVID-19 e lo scellerato allarmismo propagatosi nel Paese.
“I casi veri sono solo quelli accertati dall’Istituto Superiore di Sanità”. Le parole di Walter Ricciardi, membro dell’Oms e nominato “consigliere per il coordinamento con le istituzioni sanitarie internazionali” dal ministro Roberto Speranza, suonano come un avviso non recepito correttamente dalle regioni le quali, in virtù di casi sospetti e quindi non certificati, hanno provveduto ad emanare ordinanze non adeguate al grado di criticità. Ne derivano, dunque, flussi di comunicazione slegati, incapaci di riportare all’utente fatti reali e marchiati dal bollo della competenza.
In questo caotico contesto, contrassegnato dall’aggiornamento costante di cifre – talvolta inesatte e prive di delucidazioni obbligatorie – ci sguazza il medium televisivo abilissimo nel trasformare un’emergenza, che non va né minimizzata né tantomeno ingigantita, in una fiction dal sapore melodrammatico; si tratta, per gli addetti ai lavori, della celebre tv del dolore in cui la spettacolarizzazione dell’evento vince sul monito della comunità scientifica, a sua volta etichettata dai laureati presso l’università della vita come il covo dei professoroni che “nonciielodicono1!11!”.
Il nesso col magico mondo dei social è pressoché naturale. L’internauta medio ha da poco smesso i panni dell’analista geopolitico e, dopo aver divulgato efficaci strategie in vista di un’ipotetica terza guerra mondiale, ha già indossato il camice da virologo. Non importa che non abbia piegato la schiena sui testi di medicina per oltre 10 anni, il suo parere conterà più di un Burioni o di una Gismondo. “Bevete la candeggina per sconfiggere il coronavirus”: parole dure, parole dure di un uomo davvero strano direbbe il simpsoniano Kent Brockman.
A quelli che vengono fatti passare come una sorta di rimedi della nonna, in salsa fake, va inevitabilmente associato l’acquisto smisurato di mascherine: nonostante gli innumerevoli avvisi sull’inutilità delle stesse qualora non si abbia la certezza di essere portatori sani, le farmacie dell’intero Stivale hanno annotato un incremento di vendite senza precedenti. Ripensandoci, ho sbagliato titolo: mascherine fantastiche e dove trovarle. Sì, va decisamente meglio.
E vogliamo forse escludere dal calderone la stampa, bellezza? No di certo. Le edizioni cartacee e online di svariate testate giornalistiche (e non) nostrane in un colpo solo hanno: 1) contribuito alla crescita del numero di aggressioni verso i cinesi e gli orientali in generale; 2) messo a serio rischio l’equilibrio economico nazionale e il settore turistico, scoraggiando i Paesi esteri a scegliere l’Italia; 3) generato la psicosi e alimentato l’isteria di massa, manifestatesi nella corsa alle spese pazze nei supermercati. Peraltro io sono curioso di sapere cosa ci avrà fatto quel tizio di Brugherio con 10 bottiglie di amaro e una scorta trimestrale di carne nel carrello: un bbq condominiale?
Ma il folklore tricolore supera ogni limite quando si tocca il tasto “igiene”. Si pensi che Google ha fatto registrare il sorpasso di una nota marca di gel disinfettante per mani nei confronti di Cristiano Ronaldo nell’ambito della ricerca quotidiana sul web. L’Italia nel pallone, nella quale non c’è da meravigliarsi se il governo sia costretto a diffondere un tutorial su come lavarsi le mani. Tra un meme e varie trovate per esorcizzare la paura, d’altronde, si piazza proprio la politica: non una scelta comunicativa vincente quella di presentarsi in diretta Facebook con una mascherina sul volto, caro presidente Fontana; del suo discorso verrà estrapolato un singolo frame visivo che farà il giro del mondo e del quale si dirà: “Dicono di star tranquilli e poi un uomo delle istituzioni si mostra così al pubblico” (perché di pubblico oramai si tratta).
Un autogoal clamoroso che potrebbe danneggiare ancor di più il tessuto sociale italiano, già messo sotto stress da un allarmismo mediatico sconsiderato, capace di schiacciare sotto i piedi una deontologia professionale della quale si ha un assoluto bisogno. Per buona sorte, tuttavia, esistono le eccezioni: l’Avvenire. Non voglio dilungarmi, basta osservare i titoli e le analisi razionali affrontate sul fenomeno COVID-19. Complimenti sinceri.
Per buona parte del sistema, al contrario, ci vorrebbe una bacchetta – proprio come nel prequel rowlingiano che ha ispirato il titolo di quest’articolo – o un miracolo: mi dispiace, perché come ho già specificato io non sono una divinità.