La conseguenza peggiore della fine di un amore e del fallimento di una relazione non ha effetti tanto sull’ex coppia, quanto in verità sui figli. E spesso i padri pagano il pegno del sentimento filiale. Affollano le mense di beneficenza, spesso si riducono a vivere in automobile, cadono in depressione e il vortice nel quale finiscono non concede uscite di sicurezza: secondo l’Eurispes (Istituto di Studi Politici Economici e Sociali N.d.A.) in Italia sono 4 milioni e mezzo e l’ottanta per cento di essi non riesce a vivere coi proventi del proprio stipendio, così che 800 mila si trovano al di sotto della soglia della povertà. La difficoltà economica, conseguenza sia della scarsità delle risorse di vita sia dei versamenti a titolo di mantenimento in capo alle ex mogli, conduce sul lastrico fin troppi uomini, abbandonati al silenzio della cronaca.
Ciononostante, dal 2006 è entrata in vigore la legge n. 54/2006, che ha introdotto la disciplina dell’affidamento condiviso, già presente in termini di affidamento congiunto all’art. 6 della legge sul divorzio (risalente al 1970). Ragionevolmente, il Legislatore d’allora ha voluto dare una soluzione al problema, col suddividere parimenti le responsabilità ripartite tra i genitori e col mantenere una linea comune di obblighi tanto nei confronti della madre quanto del padre. E, soprattutto, rendere meno drammatica la crescita del figlio, costretto dal giudice alla pressoché esclusiva educazione da parte di un singolo genitore (ovvero, la madre). Eppure, nel 90% dei casi, in base a 1020 sentenze campione analizzate lungo tutta la penisola, la legge non viene applicata: i propositi del Legislatore sono resi nulli quotidianamente dai tribunali, che propendono per l’affidamento esclusivo, talvolta anche a parità di reddito. Il padre diventa, in tal maniera, un genitore del tempo libero.
L’iter che porta alla fine di un rapporto coniugale, poi, è tutt’altro che breve: in Italia prima del divorzio – previsto come rimedio ultimo a un matrimonio fallimentare – c’è il gradino della separazione (Perlessi sposi?). È un periodo, intercorrente tra una crisi e una chiusura definitiva, che logora sì i due coniugi, ma mette a repentaglio la crescita di un figlio, per di più se adolescente. E che nella maggior parte dei casi consiste in una ferita che non si richiude, o genera una cicatrice molto superficiale. Figli contesi come bottini di guerra e liti infinite nelle aule dei giudiziarie: è un libro senza fine che accumula pagine sempre più in fretta. Dentro a una storia siffatta vi sono le vicende di tanti uomini (del ceto medio), i quali con un reddito di 1300 euro al mese sono costretti a trovare un alloggio e versare in media metà stipendio per il mantenimento della prole e sovente dell’ex coniuge. Tolti circa 800 euro su 1300 non restano i soldi nemmeno per un monolocale. I nuovi poveri, o altrimenti detti “generazione boomerang”, perché giunti alla mezza età, illusi di aver costruito castelli di roccia nella propria vita, tornano alle proprie case con la consapevolezza di aver costruito sulla sabbia. Padri che ritornano ad essere figli.
Nella luce dell’amore filiale che, al netto di alcune rarissime eccezioni, illumina più di ogni altro faro e nella sicurezza (benché meramente testuale) della giurisprudenza, è opportuno ricordare che il padre non è un lavoro part-time. Tutt’altro. È un piacere, un dovere, un impegno e una fede che richiede sforzi assai più duri dell’impiego professionale. Significa far nascere, crescere, insegnare, supportare e in futuro assistere allo stesso giro, con qualche ruga in più sotto agli occhi, ma con tanta più felicità dentro al cuore.