L’invenzione di notizie c’è sempre stata: per motivi di opportunità politica, strategia commerciale, tattica militare. Ma mai come nel decennio appena trascorso abbiamo assistito a una mole tale di ‘bufale’. Sempre di più infatti, professionisti dell’informazione e, in ultima istanza, i lettori, sono costretti a fare i conti con una sovrabbondanza di notizie. Spesso poi non adeguatamente verificate o, peggio inventate. E questo fenomeno si riscontra tanto nelle pubblicazioni scientifiche, che nella cronaca e politica.
Per esempio basta notare quanto emerge da una recente pubblicazione della rivista ‘Nature’, approfondita da ‘Repubblica’. Nella rivista si fa riferimento a una ricerca condotta da 35 ricercatori di dieci paesi differenti dello scorso anno ad Ottawa, Canada. “Le riviste predatorie, come le abbiamo definite, ingannano i colleghi inesperti e inquinano la valutazione dell’analisi”, ha commentato Mauro Sylos Labini, economista del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Ateneo di Pisa e membro della ricerca. Sempre secondo il ricercatore, queste pubblicazioni spacciano per scientifiche ricerche che di scientifico nulla hanno a che vedere. “Si tratta di pubblicazioni a volte difficili da riconoscere, anche perché le numerose black list disponibili on-line non sono sempre coerenti fra loro: la comunità accademica dovrebbe trovare un accordo su una definizione e individuare le caratteristiche in grado di identificarle”. Il problema non è da poco: si stima che siano ogni anni 400mila gli articoli pubblicati su riviste che pretendono di avere un ruolo scientifico, ma che in realtà pubblicano a pagamento qualsiasi cosa. Rendendo di fatto molto difficile, anche al professionista, districarsi in ciò che è vero e ciò che non lo è. E da ciò la bizzarra sensazione di déjà-vu che a volte capita di provare vedendo che per una ricerca, per esempio, le uova fanno male. Mentre per un’altra sono salutari.
La ‘bufala’ viaggia però prevalentemente in Rete. Qui i mezzi digitali hanno permesso a tutti di scrivere e di esprimere la propria sacrosanta opinione. Talvolta però anche di spacciare la propria opinione per verità. Coscientemente o meno. Gli ultimi dati disponibili dell’Osservatorio sulla disinformazione online(pubblicato dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) risalgono al primo semestre del 2019 e svelano una tendenza stabile ma al ribasso (-5%) del numero delle fake news. In aumento sono invece le percentuali che vedono notizie false riguardo la cronaca e le informazioni sull’Europa. Nello specifico, l’Eurobarometro segnalava i temi criminalità (13% sul totale), disoccupazione (9%) e immigrazione (8%). Dopotutto le elezioni europee sono state l’argomento principale per diversi mesi. Uno dei casi più emblematici riguarda il caso di Bibbiano, ricostruito bene in un recente analisi di ‘Wired’. La notizia nasce da MeteoWeek, piattaforma collegata alla famigerata Web365 (già segnalata nell’inchiesta Buzzfeed dei giornalisti Nardelli e Silverman del 2017): per avere successo nel clickbait ricostruisce la vicenda in maniera quantomeno discutibile deontologicamente, affermando che dei bambini sono stati sottratti dai servizi sociali per dei disegni. Un’affermazione semplificata e facile boccone per gente in cerca di capri espiatori. A conclusione delle indagini pochi giorni fa I carabinieri di Reggio Emilia hanno notificato a 26 persone l’avviso di fine indagine (che rimangono in piedi per il sindaco Carletti). E l’ordine dei servizi sociali ha diffidato chiunque, ex ministro dell’Interno compreso, di continuare a mettere in mezzo la categoria.