La scommessa di BoJo contro il mainstream

Giovedì 12 dicembre il Regno Unito è chiamato alle urne per quelle che sono le elezioni più importanti dal secondo dopoguerra. Quel “Leave”, prevalso contro ogni pronostico nella notte del 23 giugno 2016 ha agitato ai limiti della schizofrenia una politica tra le più stabili del mondo come quella britannica. Il Regno Unito ha avuto 4 Primi Ministri dal 1990 al 2016, per poi cambiarne 2 negli ultimi 3 anni, con uno sfondo di lotte intestine sia nel Partito Conservatore che nel Partito Laburista. La Brexit si è di fatto rivelata ben più complessa di quanto durante il referendum il fronte del Leave la avesse fatta passare.

Ora, si gioca quella che si può serenamente definire la finale. O adesso o mai più. La partita è esclusivamente Conservatori vs Laburisti. La profezia fatta da tanti per cui il Brexit Party di Farage avrebbe tolto a Johnson i seggi necessari per vincere, è già stata smentita. Come era chiaro a chiunque mastichi un po’ di politica, Farage si è accordato con Johnson per una non belligeranza in tutti i collegi chiave per i Conservatori.

Il rivale di Johnson è quindi soltanto Jeremy Corbin che, salvo opporsi ad ogni forma di capitalismo, non ha di fatto dato un’identità ai laburisti su nessun tema rilevante, tantomeno chiarito quale sia realmente la sua posizione sulla Brexit. Nel suo partito più di qualcuno spingeva per schierarsi apertamente al fianco di chi nell’UE ci vuole rimanere, anche valutando la richiesta di un secondo referendum. Lui ha preferito non farlo. È stato in compenso molto chiaro rispetto al non diritto ad esistere dello Stato d’Israele, allo sdoganamento dell’antisemitismo e al dialogo con il terrorismo islamico (le sue amicizie all’interno di gruppi terroristici sono oggettivamente inquietanti). Non si può negare che un Partito Laburista così sgangherato sia un grande assist per i Conservatori.

Se quindi c’è una persona che può davvero portare la Brexit a compimento, quello è Boris Johnson. A differenza di Theresa May ha avuto sin da subito un piano. Ha battuto i pugni nel rapporto con Bruxelles, senza mai rinunciare ad una comunicazione aggressiva rispetto al riuscire a portare a casa l’uscita dall’UE entro il 31 ottobre. Così facendo, ha trasformato l’ostilità del Parlamento verso la ratifica di qualsiasi accordo (in gran parte dovuta ad una presenza ancora consistente di Deputati Conservatori pro-UE eletti nel 2015) da limite a punto di forza. Quel Parlamento che sembrava una insuperabile distesa di sabbia in cui chiunque si arena, è stato messo spalle al muro: io l’accordo ve lo porto, o lo votate e si fa subito la Brexit, o torniamo ad elezioni, eleggo parlamentari a me fedeli e faccio subito la Brexit. Una win-win solution all’interno della quale BoJo ha dovuto optare per la seconda opzione.

Ha smentito così ogni pronostico di incapacità, goffaggine, ignoranza e qualsiasi altra cattiveria affibbiatagli dal mainstream media nell’ultimo anno. Mainstream che sembra ricadere nel grande errore fatto nel 2016 minimizzando e ridicolizzando Johnson così come fatto a suo tempo col fronte del Leave. Oggi come allora, il rischio di venire travolti dal voto dei cittadini è molto alto. Questa win-win solution però, per diventare realtà, ha bisogno di una grande vittoria elettorale domani.

Johnson ha giocato una campagna elettorale in prima persona sapendo unire ironia e chiarezza del suo messaggio. Lo abbiamo visto guidare trattori, pescare, servire al mercato, persino improvvisarsi protagonista del film Love Actually. Alle urne di domani l’ardua sentenza. 

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