Verba manent: La forza di Francesco

La rivoluzione non sempre esplode. A volte, si china. Lava i piedi, ascolta in silenzio, viaggia verso i margini. Così Papa Francesco ha scelto di cambiare la Chiesa: non con proclami, ma con gesti. Umani, radicali, evangelici. Non è un caso che abbia scelto il nome di Francesco. Non un pontefice guerriero, non un teologo, ma il poverello di Assisi: l’uomo che si spogliò di tutto per farsi servo. Il messaggio era chiaro fin dal principio: la Chiesa doveva tornare agli ultimi, non nei palazzi ma nelle periferie. Non a dettare, ma ad accogliere.

Il primo viaggio del suo pontificato fu a Lampedusa. Non un luogo qualunque, ma la frontiera del dolore, dove il Mediterraneo diventa tomba. Lì non parlò solo ai migranti, parlò al mondo. Denunciò la “globalizzazione dell’indifferenza” e indicò la rotta: stare dalla parte di chi soffre. Una rotta seguita coerentemente negli anni, con visite alle carceri, alle favelas, agli ospedali da campo. Una pastorale che scavalca le logiche del potere e rompe gli equilibri ecclesiastici.

Francesco non è stato solo il papa dei poveri: è stato il papa della custodia. Custodia degli anziani, dei bambini, dei migranti, della terra. La sua enciclica “Laudato si’” non è un manifesto ambientalista, è un atto di fede nella responsabilità verso il creato. E il suo magistero sociale è stato spesso più ascoltato fuori dalla Chiesa che dentro. Perché toccava nervi scoperti: la povertà, la guerra, l’ingiustizia. E chi tocca questi temi, inevitabilmente divide.

Francesco non cercava consenso. Non aveva paura di perdere fedeli, ma di perdere l’anima. Ha affrontato scandali, resistenze interne, accuse di eresia. Ma non ha mai smesso di parlare chiaro, anche a costo di essere scomodo. E in un’epoca di ambiguità, questa chiarezza è già una forma di forza.

La sua è stata una leadership controcorrente: fatta di empatia e determinazione, di ascolto e fermezza. Una forza che non impone, ma propone. Che non si esercita con il potere, ma con l’esempio. E proprio per questo, è una forza che resta. Che lascia tracce. Che cambia. Una prova, il suo ultimo gesto: una donazione di duecentomila euro dal suo conto personale devoluta al carcere di Regina Coeli.

Oggi quella forza lascia un vuoto. La morte di Francesco non è solo la fine di un pontificato, è la fine di un’epoca. Un’epoca in cui la Chiesa ha provato ad assomigliare di più al Vangelo che ai palazzi. Ma è anche un messaggio potente: che la fede, quando è vera, cammina in silenzio accanto agli ultimi. E non muore mai davvero.

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