Per descrivere cos’è la depressione prenderò in prestito le parole di Liz Cambage, giocatrice delle Aces di Las Vegas, squadra della WNBA: “Immagina di essere su una spiaggia in una giornata soleggiata. Ti stai rilassando, fai una nuotata con gli amici: insomma, la classica giornata al mare! Improvvisamente, senza che tu possa accorgertene, la corrente piano piano ti sta portando in profondità nell’oceano; l’acqua diventa sempre più profonda, i tuoi amici sono tutti scomparsi, non ti senti più a tuo agio, non riesci a muoverti, a respirare e senti che, inesorabilmente, scendi sempre più in profondità e più vai giù e più tutto intorno si fa nero e, alla fine ci sei solo tu, nella tua solitudine, circondato dall’oscurità. E poi affondi”.
La depressione è una malattia invisibile che nessuno vuol vedere, e non perché sia invisibile, ma perché fa paura. Questa paura può colpire chiunque in un qualsiasi momento e può manifestarsi, nei casi più gravi, anche attraverso attacchi di panico. Per tanto tempo si è pensato che la depressione colpisse solo persone comuni, ma chi ha detto che i campioni dello sport non soffrano dentro? Chi ha detto che lo sport congela i problemi psicologici? Essere un “privilegiato” non esime dai problemi personali e da situazioni che possano mettere in estrema difficoltà l’io fino a chiedersi se continuare a competere o meno. Nonostante l’alone di tabù che ha circondato questa malattia per anni, negli ultimi tempi si sta facendo chiarezza e i vari organi sportivi si stanno rendendo conto di quanto sia importante la salute mentale degli sportivi. Ma tutto è partito proprio dai grandi campioni dello sport, o perlomeno da chi, tra loro, ha avuto la forza di raccontare le proprie esperienze col mondo intero, mettendo a nudo le proprie paure e affrontarle di petto.
Un caso emblematico è quello che ha coinvolto Kevin Love e DeMar Derozan, due campioni della NBA che hanno avuto il coraggio di raccontare, tramite theplayerstribune.com, un sito dove i grandi campioni dello sport si raccontano per condividere le proprie esperienze in prima persona, il loro rapporto con questa malattia e come sono riusciti ad affrontarla e a sconfiggerla. Entrambi hanno ribadito che è importante parlarne con qualcuno, che sia un esperto o un amico, perché parlarne è il primo passo per uscirne. La loro dimostrazione di forza e di coraggio è stata accolta con forza da tutto il mondo NBA. Le reazioni degli altri giocatori, le parole del Commissioner Adam Silver e le dimostrazioni di vicinanza da parte di tutto il mondo dello sport hanno aperto un autentico vaso di Pandora. La stessa NBA si è mossa per far si che queste esperienze non restino isolate e che tutti i giocatori possano avere la possibilità di essere aiutati da esperti, introducendo un programma di aiuto per i giocatori e un regolamento per tutte le franchigie che prevede, tra i punti più importanti, la presenza di un esperto in salute mentale nel coaching staff di tutte le squadre, dando la possibilità ai giocatori di avere un aiuto concreto. Ma il compito della NBA non si limita all’aiuto verso i propri giocatori; grazie ad NBA Cares, un’associazione della NBA stessa che si schiera dalla parte dei più bisognosi, la Lega si sta muovendo per avviare dei programmi d’aiuto e di consulenza riguardanti la salute mentale anche verso i cittadini che non possono permettersi di pagare uno psicologo (https://cares.nba.com/mindhealth/).
Nonostante sono stati fatti passi da gigante, il problema depressione è molto serio e alcuni studi hanno dimostrato che ci sono serie possibilità che nel 2030 questa diventi la malattia più diffusa al mondo, ma aver preso coscienza di questo problema è un primo passo per migliorare le cose, perché: “sei forte oltre ogni misura se hai il coraggio di esprimere cosa stai attraversando, perché scoprirai che non sei solo, non devi affrontare tutto questo da solo, e questo ti farà combattere più duramente”