India: il popolo dei tre Fiumi Sacri

Reportage dall’India di Modi, dell’ananta Visnu e dei ragazzi di Amer Kunda

Ti è piaciuta l’India? La domanda arriva spontanea ogni volta che racconto di esserci stato di recente. In realtà non so rispondere, nonostante siano passati alcuni mesi. Un misto di fascino, orrido, bellezza, mistero, si rincorrono senza soluzione di continuità. E di rabbia. Rabbia nel vedere cos’è la povertà assoluta, di chi si lascia morire d’inedia ai bordi delle strade trafficate da gente indifferente. Sfatiamo un mito però: l’India è un Paese in rapido progresso. Il suo potente Primo ministro Narendra Modi, al potere ininterrottamente dal 2014, ha cercato di ridurre la burocrazia e di modernizzare il Paese puntando sul terziario, pur sostenendo la manifattura. La crescita ne ha beneficiato a fasi alterne: con 1,4 miliardi di abitanti, molti dei quali in condizioni economiche precarie, bastano piccoli miglioramenti dello stile di vita (vedi aumento degli stipendi reali del 4,5% annui) per incrementare a dismisura i consumi interni. Non è un caso che i principali analisti americani sono certi che l’India diventerà la seconda economia mondiale entro il 2075. Tutto questo però registrando anche costi umani, e ancor più ambientali, spaventosi. Non si pensi però che il green sia fuori dai radar indiani: il governo vorrebbe installare 500 gigawatt di energia rinnovabile entro il 2030 e potenziare le infrastrutture fisiche e digitali, sfruttando anche l’enorme dividendo di laureati in materie STEM anglofoni, primi per distacco a livello planetario.

IL PRIMO MINISTRO

Modi non è un Primo ministro accomodante. Il capo del Partito popolare indiano si è fatto strada nelle preferenze puntando sull’equilibrismo diplomatico tra l’amicizia storica con gli Usa e le forniture a basso costo di idrocarburi dalla Russia e sul nazionalismo più becero: lo spregio per i cristiani, il distacco da tutti i retaggi coloniali britannici, il disprezzo delle minoranze mussulmane. ‘Gli infiltrati’ li chiama. Come se i 172 milioni che si riconoscono in questa religione non fossero parte del variegato mosaico millenario che risponde al nome della società indiana. “Il neosindaco di Jaipur appartiene al suo partito e, appena eletto, ha fatto chiudere decine di attività commerciali islamiche vicino ai luoghi santi induisti”, lamenta l’autista che ci accompagna nel traffico sincopato. “Molte di quelle attività erano lì da secoli ed erano specializzate in cucina islamica o afgana, che tutti gli indiani adorano. La scusa? L’odore infastidiva i nazionalisti indù. Le hanno fatte chiudere in un trionfo di bandiere e in diretta social con slogan irripetibili”. Le conseguenze non si sono attese: “Ci sono stati scontri tra la folla, e i fedeli più accaniti hanno gettato carne dell’animale sacro (la mucca) nei santuari induisti”, conclude amaro l’uomo. “Poteva finire male, molto male”. Qui dove nemmeno Gandhi è riuscito a frenare l’odio tra le due comunità, non mi avrebbe sorpreso.

Le religioni e il misticismo

L’India è però ancora un coacervo di religiosità sentita in modo viscerale. È il periodo del Diwali nel Rajastan. La festa della Luce ricorda il ritorno di Rama, incarnazione del Visnu Senza Fine, nel suo regno dopo aver liberato la sposa dal crudele Ravano. Complice la festività, la frenesia religiosa è ancora più sentita: le offerte di fiori e latte vengono lasciate in abbondanza dei templi, le candele a cera illuminano i vicoli anche delle case più povere. Si possono trovare maghi che affermano di saper descrivere la tua vita e anticiparne il futuro in base alle condizioni di nascita. Me ne guardo bene: se anche fosse vero, chi diavolo vorrebbe sapere il proprio futuro? Ma si trovano anche santoni che mi avvicinano cercando di spiegarmi un passo dei Veda che, per qualche ragione, pensano che mi sia utile in questo momento di vita: “La lotta tra luce e ombra avviene tutti i giorni, sono elementi che esistono in quanto hanno senso se esiste l’altro. La luce ha senso se ha qualcosa da illuminare. Allo stesso modo la vita e la morte: si comincia a vivere solo quando si smette di aver paura”. Me ne vado con più domande che risposte.

Il divino, il magico, è ovunque. Lungo il suo fiume sacro, il Gange, un popolo vive lungo le sue ‘tre rive’ simboliche, come dicono i Veda: si danna per sopravvivere sul piano terreno, vive con la mente su quello spirituale, muore senza rimpianti su quello sotterraneo. È la samsara, mi dicono, il ciclo di sofferenze e di diverse vite, la grande trasformazione cosmica, che dobbiamo attraversare per la liberazione, il moksa. La dobbiamo passare tutti, a che serve combatterla? E così centinaia di persone al giorno vanno a morire nella città santa, Varanasi, per interrompere il ciclo delle reincarnazioni e arrivare alla beatitudine. Ecco perché quasi sempre qui i funerali sono cortei colorati e allegri. L’accettazione dello stato di cose, della propria vita così come ti si offre, anche quello di morire di fame al bordo di una strada, mi sconvolge. Dopotutto veniamo da una cultura moderna che ti spinge al miglioramento continuo del proprio tenore di vita. Ma per questa gente l’unico progresso possibile e auspicabile è quello dello spirito. L’unica eredità è quella che si sarà conquistata nella prossima. C’è però chi, in attesa delle beatitudini spirituali, cerca di aiutare concretamente ora.

IL PAESE DEI BAMBINI

Con 24 milioni di nuovi nati ogni anno, l’India è il Paese dei bambini. Li trovi dappertutto, sempre curiosi e sorridenti. La scuola obbligatoria in India esiste fino a 16 anni, ma non è sempre di ottima qualità. In base alla distinzione English Medium (EM) e Malayalam Medium (MM), si avranno programmi più approfonditi, i primi, e meno professionalizzanti, i secondi. “Chi non può permettersi le migliori scuole, spesso si ritrova maestri non adeguati”, ci spiega Lara, un’insegnante toscana che ha speso diversi anni per aiutare i bambini sul posto e tuttora li supporta con l’associazione Red Balloon Charitable Trust, sponsorizzata da Mera Dil Odv Italia: “Per questo abbiamo creato un doposcuola. Si trova ad Amer Kunda, quartiere di Jaipur.  L’aula è dedicata ai bambini dai 3 ai 14 anni ed è gestita da due giovani insegnanti con un ottimo livello di inglese”. Qui saper scrivere correttamente in hindi e in inglese può fare tutta la differenza tra un tipo di vita e un altro. “Ma anche conoscere altre culture. Per questo organizziamo videochiamate con la mia classe vicino Siena. È un momento di condivisione culturale e sforzo reciproco nella lingua”, prosegue Lara.

Decidiamo con la mia compagna partecipare a una lezione con i ragazzi. Presto il doposcuola nella piccola aula gremita di bambini si trasforma in una festa. A questi bambini interessano davvero poco le distinzioni che fa Modi sull’orgoglio indù e le lotte di religione, penso. Sono discorsi che lasciano ai grandi: a loro basta avere la compagnia di due strani occidentali che giocano con loro. Alla fine, viene spontaneo aiutare comprando un computer e un proiettore per le lezioni a distanza. A chi mi potrebbe criticare che la beneficenza si fa in silenzio, rispondo ben venga pubblicizzarla, se servisse a ‘renderla virale’. E a chi potrebbe obiettare che è una goccia nel mare, rispondo: andatelo a dire a quei ragazzi di Amer Kunda, quartiere di Jaipur.

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