Sognatori contro cosmonauti; la Russia che qui non vediamo 

Libertà è partecipazione

Quando Giorgio Gaber cantava una famosa e particolare canzone, chiamata “la libertà”, diceva appunto che la libertà “è partecipazione”; e questo concetto ci può aiutare a riflettere su un tema molto delicato connesso al dissenso dei giovani studenti russi verso l’attuale regime.

In generale tutti sembrano sempre concordare sul fatto che la Federazione Russa non risulti essere un paese democratico ma, come spesso succede, queste constatazioni si perdono sia nella tautologia dei discorsi pubblici e inflazionati sia nell’incapacità di approfondire e motivare; e dunque di argomentare in difesa di una data posizione.

Nel caso esaminato da questo articolo, si vuole concentrare l’attenzione su uno specifico dissenso proveniente dagli studenti universitari russi, soprattutto nelle grandi città della parte europea come Mosca e San Pietroburgo. Tale volontà risulta giustificabile dal fatto che gli episodi e le tendenze generali che da essi scaturiscono possono offrire una più chiara, ed alquanto brutale, comprensione degli scenari di vita quotidiana locale; andando ad illuminare e precisare il quadro di repressione operato dal regime russo nei confronti del dissenso universitario e generale.

Il problema di fondo, quando si parla di questi temi in Occidente, ma soprattutto in Europa, è che non si è più capaci di superare la constatazione tautologica connessa all’inesistenza di democrazia in contesti come quello russo e non si comprende la totale impossibilità di effettuare paragoni tra quella situazione e le problematiche politico-istituzionali che si susseguono nei nostri panorami interni.

Bisogna sempre ricordare che le democrazie sono creature imperfette che convivono costantemente coi problemi, e che paragonarle a regimi autoritari mostra innanzitutto una situazione di ignoranza dei più basilari principi di separazione dei poteri e di dinamiche politologiche generali, ma che comporta soprattutto un’offesa sia a coloro i quali si trovano a vivere situazioni di pesante repressione quotidiana sia verso la memoria storica che ci dovrebbe portare a ricordare che cosa è stato vivere sotto una dittatura.

Corvo nero, non mi avrai

Esiste un’altra famosa canzone folkloristica russa in cui il protagonista si rivolge ad un corvo nero che sta volando sopra di lui, portando sinistri presagi di morte. Chorniy voron Ja nje tvoi dice il protagonista, espressione che si può tradurre con “corvo nero, non mi avrai”. Il parallelo con la costante dimensione di rischio che i cosiddetti “sovversivi” vivono è lampante. Numerose testimonianze sia di persone che vivevano al di là della Cortina di ferro sia nella Russia odierna raccontano di come l’elemento dell’incertezza permanga a livello quotidiano, conferendo al rischio di essere associati ad accuse e limitazioni della libertà personale un carattere assai inquietante ed imprevedibile. Per usare le parole di alcuni colleghi russi “potrebbe succedere da un momento all’altro di venire arrestati, e di non sapere neanche il motivo”. Appare chiaro il fatto che la situazione di conflitto bellico non ha facilitato le cose, andando anzi ad appesantire i controlli repressivi esercitati dalle autorità.

Oltre a questo è possibile dichiarare che in Russia la repressione del dissenso agisce attivamente anche su una scala digitale; al punto che alcuni colleghi che si occupano di politologia hanno parlato, sia in articoli sia in altri interventi, di un vero e proprio modello di autoritarismo digitale russo. Tale modello si esplica principalmente attraverso l’adozione di un software chiamato SORM, acronimo di “sistema di accertamento investigativo”. Esistono almeno tre versioni di tale programma: il SORM-1, il SORM-2 e il SORM-3. Il primo è impiegato nell’intercettazione dei telefoni cellulari, il secondo per controllare il traffico dei dati in rete, mentre il terzo può arrivare a monitorare ed archiviare informazioni da tutti i tipi di canali comunicativi aperti, operatori e provider vari inclusi, con la possibilità di conservare unilateralmente le informazioni fino ad un tempo di tre anni. Inoltre, è da osservare come il SORM-3 debba essere obbligatoriamente adottato da ogni operatore in base ad un provvedimento congiunto del Ministero delle Comunicazioni e del FSB, ovvero i servizi federali di sicurezza eredi del KGB.

Mai aprire la porta

Dato che si è menzionata la guerra che la Russia ha iniziato e in cui è tuttora coinvolta, diviene interessante descrivere un’altra regola non scritta che viene comunemente adottata in funzione del clima di repressione autoritaria vigente nel paese.

Quando la guerra iniziò vennero riattivate le procedure di coscrizione per reclutare nuove truppe da impiegare sul campo; e così i cittadini maschi rientranti negli intervalli anagrafici previsti dai regolamenti dovettero presentarsi agli uffici di reclutamento. Tuttavia molti di questi giovani risultavano essere studenti universitari. Questo status conduceva al dover scegliere tra due diverse opzioni. In un caso il soggetto avrebbe sostanzialmente intrapreso l’addestramento militare per poi andare ad operare sul campo mentre nell’altro avrebbe, per converso, affrontato una sorta di preparazione volta a fornire un inquadramento per milizie deputate alla difesa interna ed impiegabili alla bisogna. In quest’ultimo caso lo studente può continuare il proprio percorso di studio, allungandolo di circa due o tre anni per integrarlo con questo percorso di natura paramilitare.

Colleghi russi hanno narrato di come un giovane studente moscovita fosse oramai residente all’estero da diverso tempo nel momento in cui la guerra con l’Ucraina venne iniziata. Dato che non si era presentato agli uffici di reclutamento, le autorità si recarono al suo ultimo indirizzo noto per cercarlo. Lì risiedevano ancora dei familiari, i quali però non aprirono quando gli agenti bussarono alla porta. “Si tratta di una vecchia regola non scritta…” raccontavano i colleghi “… perché quando bussano non si deve mai aprire la porta. Se apri sei finito, se invece non rispondi ti lasciano stare; perché alla fine non sei così importante”. Insomma, si tratta di vivere nell’ombra in una condizione di totale anonimato e sperare di sfuggire alla sorveglianza operata dal regime.

Sognatori contro cosmonauti 

Esistono altri due casi che si possono connettere al tema dell’autoritarismo digitale russo. 

Una volta uno studente si era recato in una città dove, per pura coincidenza, era in corso di organizzazione un corteo presidenziale. Pertanto Putin sarebbe stato presente in quel luogo, e questo aveva fatto sì che i controlli di sicurezza venissero rafforzati. Per dare un’idea di cosa ciò significhi in un paese autoritario come la Russia, lo studente protagonista di questo episodio venne fermato per strada per una sorta di perquisizione; anche in questo caso senza nessun motivo evidente capace di giustificare un trattenimento di polizia. Nelle successive quarantotto ore il nostro protagonista scomparve letteralmente, essendo divenuto irrintracciabile sia per i parenti sia per gli amici. In seguito si scoprì che era stato incarcerato per due giorni, e che era stato poi rilasciato sfruttando un particolare meccanismo di patteggiamento previsto dalle normative di sicurezza russe. “Per la legge russa un singolo ‘dissidente’ non è pericoloso e non necessita di particolari attenzioni, ma se vi sono più ‘dissidenti’ riuniti in un gruppo l’ottica cambia sia sul piano penale sia sul piano securitario”. In sostanza il nostro studente, confessando di essere un “dissidente” solo a livello individuale aveva evitato una tragedia ben più grande. Il suo trattenimento era stato infatti eseguito perché durante la perquisizione gli agenti avevano controllato il cellulare scoprendo elementi ritenuti pericolosi per la sicurezza. Dato che tali elementi potevano coinvolgere altri compagni di università, magari perché estratti da chat di messaggistica, il nostro studente, confessando soltanto la propria “colpevolezza”, ha evitato che gli altri universitari venissero identificati come gruppo sovversivo. Qualora questo fosse accaduto le conseguenze sul piano penale sarebbero state ben più pesanti.

In un altro caso similare vi era stata una discussione interna ad una chat di messaggistica universitaria, nella quale la maggior parte dei membri non condivideva le posizioni favorevoli alla guerra e risultava in generale contrasto verso il regime.  Quando un altro studente, il quale era invece favorevole alla guerra, entrò nella chat, gli altri membri iniziarono a schernirlo per le sue “posizioni da patriota”. Il problema arrivò nel momento in cui questo studente denunciò gli altri componenti salvando le chat e inviandole alle autorità come prova. Alla fine la situazione riuscì a risolversi in maniera abbastanza positiva, ma tutti avevano rischiato di essere arrestati e di rimanere in carcere per almeno uno o due anni.

Vi sarebbero molti altri episodi simili da poter raccontare, ma la sintesi che è possibile ricavare concerne una tendenza repressiva che impatta soprattutto le fasce istruite residenti nel lato europeo del paese, dove gli studenti subiscono in maniera ancor più massiva gli effetti di queste azioni. Per riferirsi agli agenti di polizia utilizzando una sorta di codice, gli studenti usano l’espressione mectatjeli protiv kosmonavti, che significa “sognatori contro cosmonauti” e dove i cosmonauti sarebbero gli agenti di polizia in tenuta antisommossa, che appunto somiglia alla tuta di un astronauta. Tale espressione diventa sia un segnale d’emergenza che gli agenti non possono comprendere sia un’espressione di scherno verso gli esecutori degli schemi repressivi immaginati dal regime; ed è divenuta anche il titolo di un libro che tratta di questo tema. Tutti gli episodi raccontati in questo articolo sono stati raccontati di persona allo scrivente da giovani colleghi russi, e quello che più fa impressione non è solo il contenuto di questi racconti; ma il poter vedere che, mentre narravano, i loro volti erano così terrorizzati da rimanere inespressivi. La stessa cosa si può notare quando persone che hanno vissuto al di là della Cortina raccontano le proprie esperienze. Sono esperienze che ci devono toccare nel profondo e devono spingerci a ragionare ancora sul concetto di democrazia.

E tutti noi che in questa parte del mondo possiamo esprimere un’opinione, scrivere un messaggio, eseguire una qualsiasi azione senza temere conseguenze abbiamo una missione consistente nel far sopravvivere l’amore per la libertà; perché, come cantava Gaber, essa è fatta di partecipazione, e se questa viene a mancare muore lo spirito democratico che di libertà si nutre.

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