Amanda Knox, una condanna che apre nuovi dubbi sul caso Meredith

Confermata la condanna a 3 anni dalla Cassazione per diffamazione contro Lumumba

Amanda Knox ha attirato nuovamente i riflettori su di sé per il caso Meredith dopo quasi 6 anni dalla sua assoluzione. 

Il fatto di sangue accaduto a Perugia il primo novembre 2007 è noto a tutti. La cittadina britannica Meredith Kercher fu trovata assassinata la mattina nella sua casa in Via della Pergola, dove conviveva nel suo periodo di Erasmus all’Università per Stranieri insieme ad altre due ragazze. Amanda Knox era una delle sue coinquiline di quella casa. 

Il processo del 2007 che vide coinvolti Amanda, il fidanzato Raffaele Sollecito, Rudy Guede e Patrick Lumumba imputava principalmente la Knox e Sollecito come primari responsabili dell’omicidio. Ma quello del 2007 e che durò per circa un decennio, si rivelò anche essere un processo mediatico contro l’immagine di Amanda da parte della stampa italiana e inglese che non riusciva a disaffezionarsi all’idea romantica del “diavolo con la faccia d’angelo”.

Durante le sedute di quel processo la giovane americana aveva più volte accusato pubblicamente come vero colpevole del delitto il suo datore di lavoro Patrick Lumumba, il quale si dichiarava totalmente estraneo ai fatti di quella cerchia amicale. Dopo un po’ di tempo la cittadina di Seattle riferirà un’altra illazione accusatoria, stavolta contro Rudy Guede, un ivoriano che risiedeva già da molti anni a Perugia ma che pare si fosse guadagnato una cattiva fama presso i suoi vicini di casa e i perugini che gli additavano una fisionomia alquanto dolosa e fraudolenta. Ma nulla di certo anche per Guede.

Una fine alla lunga storia processuale che assumeva sempre più toni cupi quanto controversi fu la completa assoluzione dalla condanna formulata inizialmente per i due fidanzati, soggetto annoso della bufera mediatica. Per converso ci fu la condanna invece di Rudy Guede come responsabile diretto dell’omicidio di Meredith. 

Questa condanna suonò tuttavia alle orecchie della maggioranza degli italiani come il tipico caso di abuso discriminatorio da parte delle Istituzioni che avrebbero pensato di sciogliere più facilmente il nodo della assai complessa matassa di ostacoli morali e prove immateriali in cui era avvolta la morte di Meredith, proprio individuando come capro espiatorio un ivoriano.

Il dubbio sull’innocenza di Amanda che fino a ieri oscillava condiviso tra delusione anaffettiva e sospetto romantico, è stato se non fugato, almeno reso coerente con l’idea di latente colpevolezza.

È arrivata infatti ieri la decisione finale della Cassazione per il ricorso aperto da Lumumba per diffamazione, dopo quattro ore di camera di consiglio, che vede la pronuncia della condanna definitiva di Amanda Knox a tre anni di carcere.

La cittadina americana non era presente a Roma durante la sentenza, ma la seguiva da casa con i suoi in America, mentre la parte lesa ha assistito all’intero processo e si è detto alla fine soddisfatto della giustizia italiana.

“Sono molto soddisfatto perché Amanda ha sbagliato e questa condanna la deve accompagnare per tutta la vita. Me lo sentivo e saluto con grande onore la giustizia italiana” afferma Lumumba fuori dall’aula. 

Diversa la reazione invece di Amanda che scrive sui social: “Ho fatto come Tony Soprano e sono svenuta”.

Il legale della famiglia Kercher è rimasto invece perplesso su una conferma che già avevano ma di cui non speravano di riceverne più ufficialità. “E’ il grande interrogativo del processo per l’omicidio di Meredith Kercher. Per quale scopo Amanda Knox ha calunniato Patrick Lumumba?”. Queste le parole riferite all’Ansa da Francesco Maresca, avvocato della famiglia Kercher, le quali potrebbero aprire un nuovo ciclo di indagini per una verità diversa da quella cui siamo stati fedelmente ad ascoltare, ma uguale probabilmente a quella che ci verrebbe ancora da pensare, a partire da quel 2007. Certamente la nuova condanna di Amanda potrebbe aprire nell’opinione pubblica più dubbi di quanto finora ne avessimo avuti sugli innocenti e i colpevoli (beninteso il plurale) del caso Meredith.

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Mauro Di Ruvo
2000, Bari, Critico d’arte, classicista e medievista. Redattore di Politica interna. Attualmente si occupa di Etruscologia e Diritto Romano a Perugia, dove conduce indagini sperimentali in Archeologia Classica. Si è occupato di Estetica cinematografica e filosofia del linguaggio audiovisivo a Firenze presso la storica rivista “Nuova Antologia” e collabora con la Fondazione Spadolini. È autore del romanzo Pasqualino Apparatagliole (2023, Delta Tre Edizioni), e curatore della recensione al libro Oltre il Neorealismo. Arte e vita di Roberto Rossellini in un dialogo con il figlio Renzo di Gabriella Izzi Benedetti, già presidente del Comitato per l’Unesco, per la collana fiorentina “Libro Verità”. Ha già curato per la “Delta Tre Edizioni” le prefazioni alla silloge Lo Zefiro dell’anima (2019) di Pasquale Tornatore e al romanzo Le memorie del dio azteco (2021) dello storico Saverio Caprioli. A novembre 2023, ha curato il Convegno “L’ombra del doppio: la dicotomia nella poiesis” nella città di Lavello.

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