Verba manent: la morte di Ramy diventa uno show mediatico

L’uso della cronaca da parte dei programmi che dovrebbero fare approfondimento, e invece si trasformano in arene da spettacoli gladiatori, sta diventando assai stucchevole. Ce ne accorgiamo sempre più spesso: femminicidi, che mettono opinionisti gli uni contro gli altri, reati commessi da stranieri (per nazionalità o ritenuti tali per colore della pelle), che fanno guerreggiare esponenti di sinistra contro colleghi di destra. Poca informazione, tanto show. L’ultimo atto di questa ricorrente scenografia è la morte di Ramy, giovane italiano, occorre ricordarlo, morto a conclusione di un inseguimento da parte delle forze dell’ordine per non essersi fermato all’alt delle autorità. 

Quante volte avete visto il video in cui si vedono le volanti sfrecciare per le vie di Milano, fortunatamente deserte in quei frangenti, si sentono le parole degli agenti e si assiste all’impatto fatale? Riproposto da ogni trasmissione, più volte, anche all’interno della stessa rete o fascia oraria. Seguono, poi, acerrime discussioni tra strenui difensori, a priori, delle forze dell’ordine e profetici custodi dell’integrazione, sempre funzionante ed efficace. È mai possibile questo? Si ascoltano dunque processi già fatti, con verità accertate: da una parte la ragione, dall’altra il torto. Allora eliminiamo il lavoro della magistratura, risparmieremmo anche ingenti risorse. Per fortuna questo sistema è tossico, e la sua tossicità appare evidente ogni volta che va in scena. Per sfortuna, però, non cambia mai, perché fa audience. 

Martedì sera sono stati coinvolti i genitori di Ramy, come spesso sta accadendo, da una nota trasmissione di Rete4. Davanti a loro, è stato fatto rivedere il video della morte del ragazzo. La madre in lacrime di fronte alle immagini, ormai stampate nella sua memoria, del figlio ucciso. 

Ci chiediamo e, soprattutto, vi chiediamo: ha senso tutto ciò? Oltre che deontologicamente discutibile, tale atteggiamento mette sulla bilancia ascolti (dunque denaro) e umanità, preferendo i primi. Come ogni questione che miscela umanità e diritto, il cocktail che esce è delicato da maneggiare. La stampa ne abusa, a volte senza pietà perfino verso i familiari di vittime e persone lese. 

Dovremmo tornare a essere più umani quando la realtà ci mette davanti a faccende intrise di umanità. Umani con ciò che è umano, pertanto sofferente. Dovremmo mettere da parte l’attenzione allo share, al denaro, alla curva di ascolti o alle pagine vendute, quando discutiamo di certe questioni. Se non ci riusciamo, parliamo di altro. La realtà è complessa e piena di storie da analizzare e raccontare. Se scegliamo quelle “umane”, adoperiamo umanità. 

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