Con Nosferatu, Robert Eggers (The Witch, The Lighthouse) realizza la sua opera più ambiziosa, una reinterpretazione del classico vampiro che dialoga con il presente. Unendo orrore e bellezza, il regista crea un intreccio di mito e realtà che cattura lo spettatore, esplorando l’oscurità tanto esterna quanto interiore. Un’opera che trascende il remake e che sfida e ridefinisce i confini del cinema horror.
La forza del film di Eggers sta nella sua capacità di rendere l’oscurità un personaggio a sé stante, una forza viva, pulsante, che minaccia di inghiottire ogni cosa. La fotografia di Jarin Blaschke trasforma ogni scena in un dipinto romantico: paesaggi innevati soffocati da cieli plumbei, fiamme di candele che tremano in un buio impenetrabile. Non c’è mai vera luce, e il giorno stesso sembra un’eco pallida della notte.
Pur rispettando i capisaldi narrativi del Dracula di Stoker—il viaggio di Thomas, la nave maledetta, il confronto finale—il film riorienta il racconto su Ellen (Lily-Rose Depp), figura magnetica e complessa. Non più semplice vittima, Ellen incarna un’umanità lacerata tra amore, follia e autodistruzione. Una donna consumata da visioni profetiche e da un’oscurità interiore che la lega al Conte Orlok (il minaccioso vampiro) in modi inaspettati. Questo spostamento di prospettiva rende la trama meno lineare e più stratificata, una riflessione sulle forze oscure che albergano nell’animo umano, piuttosto che una semplice lotta tra il bene e il male.
La pellicola è anche una riflessione affascinante sull’invisibilità femminile. Thomas, il marito di Ellen, ignora le sue suppliche di non partire. Friedrich Harding (Aaron Taylor-Johnson), incaricato di prendersi cura di Ellen in sua assenza, si mostra insensibile e infastidito dai suoi turbamenti. Solo il professor Von Franz (Willem Dafoe), con il suo acume e la sua empatia, si prende il tempo di ascoltarla e crederle. Questa dinamica rende il film dolorosamente attuale, una critica all’ignoranza e l’arroganza dell’uomo coloro che rifiuta di dare alla donna il ruolo di potere che si merita
Bill Skarsgård è un Conte Orlok indimenticabile, una creatura che incarna il terrore puro. Il suo design prostetico e il sound design che ne accompagna ogni movimento amplificano l’impressione di una presenza sovrannaturale, inesorabile. La voce, profonda e gutturale, sembra provenire dalle viscere della terra, mentre i suoi occhi brillano come finestre su un abisso senza fondo. Il regista non glorifica la natura predatoria del vampiro, ma la mostra per quello che è: una forma di controllo brutale, fortemente sessuale, che schiaccia e domina le sue vittime. Quella piaga simile a un’epidemia di ratti che accompagna l’arrivo di Orlok aggiunge un ulteriore strato di ansia mentale allo spettatore. Un parallelo inquietante con le paure collettive vissute durante la pandemia del 2020, un terrore che echeggia ancora.
Nel 1922, Nosferatu di F.W. Murnau è cinema immortale, un capolavoro espressionista la cui ombra aleggia ancora nerissima sulla storia dell’arte cinematografica. Nel 1979, Nosferatu di W. Herzog è un capolavoro metafisico, visionario e potente come solo il nuovo cinema tedesco sapeva essere. Nel 2024, Nosferatu di R.Eggers è un’opera horror magistrale, viscerale e totalizzante che testimonia la visione unica e il talento narrativo di un autore pronto ad essere il nuovo maestro del macabro.