Nell’ultima mattinata della Fiera Più Libri più liberi, presso la Sala Antares, si è tenuto un dialogo sul tema della poesia con Paolo di Paolo e Giovanni Nucci. A prendere la parola è il primo, autore di Rimembri ancora – edito Il Mulino (2024) – sulla poesia studiata a scuola. Di Paolo parte citando un accaduto la cui notizia si è diffusa in tutto il mondo: il furto avvenuto in una casa a Roma lo scorso agosto. Il particolare dell’evento è che il ladro è stato scoperto dal proprietario dell’appartamento mentre leggeva in terrazza un libro, Gli dèi alle sei: L’Iliade all’ora dell’aperitivo, scritto da Giovanni Nucci che subito ironizza sull’accaduto che lo ha portato “finalmente al successo”. Parla di inferno, perché da lì in poi tante sono state le richieste di tradurre i suoi libri. Egli, però, vede nell’azione del ladro un’eco poetico, qualcosa di molto romantico. È una tensione poetica: il ladro viene in qualche modo catturato dalla poesia, precipitando nel libro. In fondo è proprio questo che spesso fa la lettura: ci permette di dimenticarci del mondo circostante.
Qui Nucci riprende una pagina del libro di Di Paolo in cui l’autore sottolinea come il compito della poesia sia di ricordarci di essere vivi: il ladro, dunque, sul terrazzo si è messo a leggere e si è sentito vivo. In riferimento alla sua ultima pubblicazione, Di Paolo si sofferma sulla poesia scolastica: molto spesso abbiamo dei testi nella mente e accade che qualcuno ci reciti il primo verso di una poesia e subito rispondiamo recitando a memoria il secondo, vi è dunque il richiamo di qualcosa di familiare. Questo è ciò che è accaduto con il ladro, nel suo caso in riferimento al mito.
Per Giovanni Nucci mito e poesia si trovano nella stessa parte del cervello. Da una parte c’è una griglia mentale in cui decodifichiamo la realtà fatta di principi logici. Ma il nostro cervello non è solo coscienza, è anche sogno. Dunque, il mito e la poesia stanno nello stesso luogo dei sogni.
Abbiamo sempre l’idea del poeta e della poesia come di qualcosa di staccato dalla realtà. Come rivela Di Paolo, crediamo sempre che il poeta sia un uomo un po’ sulle nuvole. Questo risulta essere poco corretto: in fondo il poeta è proprio sulla realtà che si interroga e lo fa attraverso l’immaginazione per cercare qualcosa di più vero. La poesia è una lingua che trasloca in un’altra lingua, ma la posta in gioco resta sempre la realtà. L’utilizzo della metafora permette di allargare il mondo e amplia la possibilità di vederlo e comprenderlo.
Lo strumento essenziale per raggiungere ciò resta sempre la parola. Quest’ultima, insieme alla poesia, è strettamente legata al periodo storico in cui si vive.
Se si pensa alla poesia del Novecento, almeno fino agli anni ‘50, appare ovvio che la poesia sia legata alla tragedia della Prima Guerra Mondiale e dunque ne subisca le conseguenze non solo dal punto di vista tematico ma anche della scelta delle parole. Se si considera la poesia di Giuseppe Ungaretti, si assiste a una forma breve. Si cita qui “Mi illumino d’immenso”. Giungiamo a una forte economia di parole legata a un’urgenza espressiva. In fondo si cercano le parole dal fronte e lo stesso Ungaretti partecipa in prima persona.
Ultimo tema del dialogo è il legame tra poesia e amore. Nel suo libro Di Paolo parte dai poeti siciliani del Duecento che hanno cercato una lingua, l’italiano, che potesse parlare dell’amore.
Col tempo si è assistito a un cambiamento del linguaggio poetico. La poesia non consiste solo in un linguaggio sublime ed elevato. Di Paolo cita Gozzano con La signorina Felicita ovvero la Felicità e nello specifico i versi che recitano “e gli occhi fermi, l’iridi sincere azzurre d’un azzurro di stoviglia”. Come si può notare, si assiste a un abbassamento della tono poiché l’obiettivo deve essere un avvicinamento alla quotidianità.