Corrado Augias: lectio magistralis a Più libri più liberi

Nella tarda serata di ieri, al primo piano de La Nuvola di Roma, arriva – di blu vestito – Corrado Augias. L’arena Repubblica accoglie l’evento come può. Poche sedie, forse; chi rimane in piedi non va via e resta. Anche l’aria si fa grave e la luce rossa – che investa l’edificio di sera – riflette il vetro esterno che accoglie il logo dell’evento: Più libri più liberi.   

Corrado Augias (Roma 1935) è un gande intellettuale italiano. Da prima giornalista, poi tante altre cose: politico, autore, presentatore. Una personalità rara che gravita nel sapere e ne genera a sua volta.  Non è un caso, dunque, che la lectio magistralis di venerdì sei dicembre – condotta in solitaria tranne un’eccezione finale – è densa ma breve. Appena trenta minuti: un tempo insolito per gli eventi della Fiera che, spesso, si prolungano di qualche minuto. 

Eppure, l’intervento dal titolo: “Italia: che fine faremo?” non lascia nulla sottointeso.  

Augias dedica le prime battute al nuovo volume di Romano Prodi e Massimo Giannini: Il dovere della Speranza (Rizzoli 2024). Ragiona sull’antitesi implicita, nell’accostare un sentimento spontaneo a una ferrea disciplina. Tuttavia, in tempi inquieti, è necessario mutare un’emozione naturale in artificio. 

” C’è un governo sotto le necessità del momento. L’Europa, dopo lo slancio della moneta unica, si è arenata. Al livello mondiale, sono saltati confini politici fondati nel 1945. “

Ma l’inquietudine non s’arresta qui. Si aggiungono gli scenari di guerra. Ottantamila soldati ucraini che hanno subito amputazioni. In più, una costante “spensieratezza” nel parlare di guerra. Per ricordare – a ottant’anni di pace e tre generazioni senza conflitti – che l’inquietudine è sempre lì. Dunque, le armi nucleari tattiche di media potenza, giustificano la difesa con strumenti più gravi. 

Eppure, il dovere della speranza va applicato. E l’Italia, ricorda Augias, l’ha fatto in passato.

Ricorda la fiducia posta nell’impresa ingegneristica dell’Autostrada del Sole (1964). Più di 500 Km che collegano l’Italia, all’epoca povera di ferrovie e corrente elettrica. 

Di poco anteriore, era la fede posta dagli Italiani nei partiti: DC e PC. In opposizione o maggioranza, rappresentavano l’80 % degli elettori. Una nazione che esercitava il dovere della speranza verso organizzazioni cui poneva certezze; per superare “lo sfacelo del fascismo e diventare potenza rispettata.”

1994: Tangentopoli. L’Italia, da quel momento, ha sospeso la fiducia alle organizzazioni complesse. Ha preferito, piuttosto, attendere il miracolo di qualche grande personalità: Berlusconi, Renzi, Meloni.

Ma ciò non basta. “Bisogna fare i conti con la situazione reale e da lì fare politica.”

La sala si movimenta quando nelle battute finali Augias cita Eduardo De Filippo (regista): ” Adda passà ‘a nuttata.”

Su queste note sarcastiche, di rimandi teatrali, Corrado Augias vede nel pubblico Gino Castaldo (critico musicale) e lo invita sul palco. 

Insieme a lui lascia un ultimo pensiero: ” Stiamo vivendo il passaggio dalla carta al digitale e, da lì, i risvolti dell’IA ancora imprevedibili. C’è il cambiamento climatico; alcune zone saranno calde e torride. Molte persone, infatti, cercheranno riparo nei confini Italiani. Siamo Pronti?”

Tornando al dovere della speranza, è sintomatico che si possa inclinare a un siffatto stato di cose. Eppure, essendo una sensazione imposta, è responsabilità doverla coltivare. Sempre. 

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