Scrittori che parlano di scrittori: da Foster Wallace a Stephen King

Con Christian Raimo e Gaja Cenciarelli

La prima giornata di Più libri più liberi – la fiera della piccola e media editoria che ogni anno si svolge alla Nuvola dell’Eur – parte con il primo incontro del format “Scrittori che parlano di scrittori”, ideato e curato da Gaja Cenciarelli, che si terrà tutti i giorni fino a domenica 8.

Oltre alla già citata scrittrice e traduttrice, che in questo caso ci racconta di Stephen King e del suo rapporto con il grande autore americano, il secondo ospite è Christian Raimo, chiamato a indagare la figura di David Foster Wallace.

L’incontro si apre con la solidarietà espressa da Cenciarelli, e a nome di tanti altri colleghi, al professore e scrittore Raimo, protagonista di un caso di censura da parte dello stesso ministro dell’Istruzione che a settembre, dal palco della festa nazionale Alleanza Verdi-Sinistra, Raimo aveva indicato come “bersaglio debole da colpire”, paragonandolo alla Morte Nera di Star Wars. Christian Raimo è stato punito con una sospensione di tre mesi e la decurtazione del cinquanta per cento dello stipendio. E forse non è un caso che l’evento si chiuda proprio parlando di giustizia; ma ci arriveremo.

Dopo un sentito applauso da parte del pubblico, Cenciarelli dà il via alle danze. “Quanti di voi possono dire che il proprio libro preferito di King sia L’ombra dello scorpione?”. Una mano timida si alza, ma è l’unica. L’autrice è tra le poche a credere che quello sia il suo capolavoro. Tralasciando la trama – curiosamente premonitrice della pandemia che ci ha sconvolto negli ultimi anni – l’opera narra l’epopea di un mondo diviso tra buoni e cattivi, senza vie di mezzo. Certo, King è un maestro nel descrivere l’infanzia e l’adolescenza, e ogni aspirante scrittore dovrebbe prendere spunto dal suo modo di ritrarre i personaggi, l’umanità, l’ossessione. Tuttavia, nel caso di questo libro, l’essere umano è diviso in due, e o si sta da un lato, o dall’altro.

“Ma questa distinzione netta tra buoni e cattivi che troviamo anche al giorno d’oggi non è un’ideologia dannosa? Non è pericoloso voler stare sempre con i buoni?” chiede Gaja Cenciarelli.

Ecco lo spunto per introdurre David Foster Wallace, che buono del tutto sicuramente (e forse per fortuna) non è mai stato. Anzi, Christian Raimo ricorda la capacità che l’autore cult ha avuto di rappresentare tutte le forme del male. Male che lui conosceva a fondo.

David Foster Wallace è stato molto amato, soprattutto dopo la sua morte, ma anche allontanato. Per Raimo, che l0 ha scoperto a fine anni Novanta (e di cui poi ha anche tradotto Una cosa divertente che non farò mai più, insieme a Martina Testa) è stato come un fratello maggiore; per questo, dice, dopo il suo suicidio per qualche anno ha smesso di leggerlo, perché era molto arrabbiato. Si sa, tra fratelli ci si arrabbia.

Il lavoro di traduzione e di studio che ha fatto su di lui gli ha però permesso di conoscerlo a fondo nella sua complessità, parola chiave forse quando si parla di Foster Wallace; considerato ipnotico tale era l’ingegno mentale, l’intelligenza dirompente è forse ciò che è emerso fin da subito, rendendolo, come abbiamo detto, di culto.

A fine anni Novanta, parlare di dolore mentale e psichico non era sdoganato come oggi. Foster Wallace si impose dall’inizio indagando e descrivendo un mondo incapace di reagire alla società individualista e di consumo che si stava sviluppando, alla perdita di di ideologie politiche e di identità (i famosi burned children of America).

È con la letteratura che si esce dalla propria mente, e Foster Wallace la utilizza per portare a tutti il proprio dolore, rendendolo universale. Letteratura come pedagogia dunque (anche involontaria), come sollievo alla sofferenza. Ecco quindi che la solitudine e l’alienazione vengono esorcizzate, e si diventa guida e guru di un’intera generazione.

Con la sua scrittura, lo scrittore-filosofo ci fa innamorare della conoscenza. Ma cosa ce ne facciamo? Siamo in grado di distaccarci dalla nostra morale e apprezzare un racconto in cui una ragazza che è stata stuprata ammette che l’esperienza è stata utile per conoscere meglio il mondo?

David Foster Wallace viene rivalutato di continuo, in un moto perpetuo che lo elegge migliore scrittore contemporaneo e un attimo dopo lo affossa per la sua condotta di vita (Mary Karr, scrittrice ed ex fidanzata, ha raccontato di abusi e persecuzioni che ha subito durante la relazione). 

Nella sua opera, conclude Raimo, non si trova una “parte giusta”. Non si legge Foster Wallace per trovare risposte e bussole morali. Ma la domanda sulla giustizia – la stessa che si fa spesso anche anche il grande Stephen King – è sempre presente. E il compito della letteratura, da sempre, non è quello di fornire risposte, ma di formulare le giuste domande. I due scrittori americani l’hanno saputo fare, e lo fanno ancora, egregiamente.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here