Recentemente i vari media hanno trattato le implicazioni di quello che ormai viene chiamato lo “scandalo dossieraggi”. Tuttavia, come spesso succede, si tende a guardare al problema attuale senza considerare gli effetti di lungo periodo; in quanto ad andare di moda non è l’abitudine a prevenire bensì quella di curare.
In primo luogo, lo stesso fatto che l’intera vicenda venga presentata alla pubblica opinione come uno scandalo di natura anomala e straordinaria contribuisce a rafforzare la tesi enunciata nel nostro incipit. Nel mondo delle guerre ibride e multi-dominio, cioè afferenti a molteplici sfere operative anche non convenzionali, bisogna capire che questi eventi non sono anomalie ma pratiche di guerra comune.
Significa che la guerra, intesa come pratica operativa che gli inglesi chiamano warfare, ha già invaso la dimensione sociale del singolo individuo e, di conseguenza, dei gruppi sociali da esso composti.
Difendersi e basta non funziona
L’assetto strategico italiano viene oramai influenzato da molti anni da una preponderante ottica di difesa passiva. Questo accade sia a causa delle istanze pacifiste promosse dopo lo scoppio della guerra in Ucraina sia per via della manifesta incomprensione delle dinamiche di rivalità internazionale da parte di alcuni circoli dirigenziali financo di grosse porzioni di elettorato.
Il risultato è che il perimetro securitario italiano, inteso appunto in ottica ibrida, risulta grandemente indebolito da questa attitudine. Ma questo può rilevarsi problematico in un contesto di rinnovata tensione internazionale.
Svincolarsi dal dogma della difesa aprioristica rimane dunque la prima priorità sia nel campo dell’intelligence sia nel campo della difesa. Il passo successivo è riprendere contezza delle tecniche di proiezione di potenza e del concetto di sharp power al fine di concretizzare una presenza strategica nelle aree d’interesse nazionale, come il bacino del Mediterraneo. Non farlo significa rinunciare ad essere credibili sul piano internazionale.
Resilienza del settore privato
Ultimamente si è consolidata la tendenza ad investire nelle pratiche di sicurezza cibernetica in seno al settore privato. Le aziende temono giustamente di subire danni ingenti derivanti da attacchi cibernetici, o comunque da minacce provenienti dalla sfera digitale. Tuttavia, come già si diceva, un’ottica esclusivamente orientata alla passività si scontra con la necessità di una difesa attiva, che in termini tecnici si potrebbe chiamare difesa generale tattica. Quest’ultimo concetto si esplica nel promuovere formazione sulla gestione dei rischi e delle minacce, come già avviene, aggiungendo integrazioni, meno frequenti, legate all’analisi previsionale, la creazione di scenari e l’elaborazione ed ottimizzazione informativa.
Tutti questi elementi, in apparenza assai teorici, trovano riscontro in discipline molto diffuse a livello internazionale nelle quali le aziende italiane devono risultare competitive. Quelle più importanti ai fini del nostro discorso sono sicuramente la threat intelligence, la open source intelligence e la business intelligence; cioè quell’insieme di tecniche e approcci che rendono possibile ricercare, individuare, esaminare e gestire informazioni, risorse e minacce che rappresentano un rischio per il settore privato, attingendo sia ad informazioni provenienti da fonti aperte sia a dettagli più complessi che devono comunque subire una successiva procedura di elaborazione.
Non è un mondo per timidi
In questo contesto, appare chiaro che sia il settore pubblico sia quello privato devono recuperare l’immenso ritardo legato alla propria concezione tattico-strategica.
A livello di intelligence proteggere e basta si rivela controproducente, e dunque occorre optare per approcci di difesa proattiva o di iniziativa offensiva limitata. Applicando tale visione nel dominio cibernetico nonché a livello ibrido, la capacità di generare deterrenza potrebbe accrescere sensibilmente; cambiando la sfera di intervento securitario e variando in positivo la propria competitività con gli altri attori internazionali.
Rimanendo nel campo dell’intelligence, ma per il settore privato, occorre dire che la chiave per affrontare le nuove minacce consiste da un lato nel rafforzare i comparti aziendali dedicati alla business ed open source intelligence almeno a partire dalle medie imprese, e dall’altro nel promuovere la formazione di analisti capaci di operare in ottica preventiva e predittiva, e non solamente difensiva. Dato che l’Italia possiede un forte tessuto di imprese di piccole e medie dimensioni, potrebbe essere conveniente favorire la nascita di una rete di piccole e microimprese iper-specializzate in questo settore e con forte consapevolezza e capacità tecnico-operativa; integrabili nella rete di sicurezza orbitante attorno all’ACN e al perimetro europeo e suscettibili di coprire larghe porzioni del fronte difensivo nazionale.
Nel campo della difesa la situazione diventa ancora più complessa, soprattutto se si accerta il fatto che l’Italia ha difficoltà ad eseguire attività di proiezione di potenza in ragione di scelte negative che non vengono alterate.
Basta pensare all’impossibilità, in Italia, di creare compagnie militari private da impiegare a scopi di protezione e supporto in scenari esteri particolarmente problematici. Si tratta di un’opzione perfettamente razionale e già impiegata da altri paesi, attraverso la quale diviene possibile garantire adeguata protezione ai propri interessi risparmiando risorse militari.
Parallelamente un paese come l’Italia dovrebbe cogliere le nuove opportunità rappresentate dai droni subacquei per aggiornare la propria tradizione navale ed allargare gli scenari di impiego; il tutto coadiuvando un attivismo rafforzato quantomeno nel teatro del Mediterraneo allargato e del Vicino Oriente, anche se ormai gli orizzonti di cooperazione col Giappone e gli altri alleati asiatici sono ormai divenuti chiari.
I tipi di interventi che qui si ipotizzano rappresentano soluzioni oggettive e concrete, già in sede di applicazione da molto tempo da parte di altri attori. Nell’epoca dominata non più dal soft power ma dallo sharp power, la loro adozione non è solo possibile, è più che mai necessaria.