Siria: Bashar al Assad chiede l’aiuto di Putin. Iniziati i raid russi contro i jihadisti

I ribelli Jihaidisti conquistano Aleppo ed Hama e si spostano verso Damasco. Ucciso in un raid russo Abu Mohammad al-Jolani, il capo dei ribelli. Colpito il convento francescano Terra Sancta di Aleppo. Salgono a 412 le vittime. Un’analisi della guerra in Siria.

Avanzano i ribelli jihadisti contro l’esercito di Bashar al Assad, le forze governative appoggiate dalla Russia di Putin che oggi è intervenuta in maniera prepotente per tentare di frenare la pressione dei ribelli su Damasco. Un aiuto ottenuto due giorni fa, il 30 Novembre, a seguito dell’incontro avvenuto tra lo stesso Bashar al Assad con Putin. Si era parlato addirittura di golpe, di una fuga da parte del Presidente siriano in Russia per mettersi in sicurezza, visto che di lui si erano, per un po’, perse le tracce, mentre è proprio dal Cremlino che al Assad ha lanciato il suo monito: “Sconfiggeremo i terroristi fino all’ultimo” ha dichiarato, ed ancora: “La Siria continua a difendere la sua stabilità e integrità territoriale di fronte a tutti i terroristi e ai loro sostenitori, ed è in grado, con l’aiuto dei suoi alleati e amici, di sconfiggerli ed eliminarli, indipendentemente dall’intensità dei loro attacchi. Il terrorismo comprende solo il linguaggio della forza, ed è con questo linguaggio che lo spezzeremo e lo elimineremo, indipendentemente dai suoi sostenitori e sponsor“, ha detto Assad durante una telefonata con il suo omologo emiratino. Ma quel che è certo è che i ribelli siriani di Hayat Tahrir al Sham (HTS), al quarto giorno dall’inizio dell’offensiva partita dal colle Zeynel Abidin, dopo aver preso il controllo dell’intera provincia di Idlib, proprio ieri, 1 dicembre, sono entrati ad Aleppo, città patrimonio dell’Unesco, controllandone l’aeroporto e nella città di Hama. Lo riferiscono i media turchi, che pubblicano anche video delle truppe ribelli nel centro della città. Secondo le Ong ci sarebbero già centinaia di vittime, 412 per la precisione, tra cui decine di civili. Per il governo libanese, il leader dell’Hts, Abu Mohammad al-Jolani è rimasto ucciso in un raid aereo di ieri, quando c’è stato il tentativo da parte russa di frenare l’avanzata dei ribelli proprio su Damasco. Ma l’esercito creato da Abu Mohammad al-Jolani, praticamente l’ala di al-Qaida in Siria, che rappresenta l’integralismo sunnita ed ha dunque stretti rapporti con la Turchia di Erdogan e che contrasta fortemente la Russia e l’alleato Iran, è molto organizzato oltre che ben armato e si sta spingendo a conquistare Tal Rifat, altro importante centro strategico per la presenza di un aeroporto. E’ notizia sempre di ieri sera dell’avvenuto bombardamento del convento francescano Terra Sancta di Aleppo nel corso di un attacco russo, che risulta quasi distrutto ma fortunatamente, come riferito da “La Presse” senza vittime. 

Perché la guerra in Medio oriente si è spostata in Siria

La guerra che affligge il Medioriente si è dunque, di fatto, estesa anche in Siria, nonostante si continui a combattere a Gaza. Facile previsione, secondo alcuni analisti, visto che in Siria, pressata ormai da anni da una guerra civile che ha visto solo brevi periodi di distensione, si giocano di fatto delicati equilibri internazionali. Le grandi potenze misurano la loro forza non apertamente, ma dando appoggio all’uno o all’altro degli esponenti del dissidio interno misurandosi attraverso uno scontro non frontale. Russia, Stati Uniti, Iran e Turchia tentano, in questo caso, di imporre la loro presenza in Medio Oriente passando per lo scontro di minoranze interne, rendendosi protagoniste di un equilibrio solo apparente ma presenti in un conflitto per procura, all’occorrenza esasperando e/o partecipando – a volte esplicitamente, a volte sommessamente – alla guerra civile del Paese per indebolire o distrarre gli avversari, talvolta estremizzando le evoluzioni in una logica di pressioni internazionali che possa portare ad una potenziale ridefinizione degli equilibri fra Stati. E’ sempre stata terra di retroguardia dunque la Siria, rampa di lancio dall’Iran verso Israele e di risposta all’Iran da parte di quest’ultima. Ha subìto pressioni da parte israeliana già pochi mesi fa, con lancio di missili sul territorio, ai quali non ha risposto probabilmente per non esasperare la già crescente tensione interna e quella dei vicini Paesi medio orientali, ma stando a guardare l’evoluzione insieme alla Russia, per evitare una sovraesposizione, sia militare sia politica – oltre che mediatica. Se infatti Israele è essenzialmente concentrata sugli altri fronti aperti in prossimità con l’Iran, la Siria è stata utilizzata come passaggio di rifornimenti inviati da Teheran verso le milizie sciite che fronteggiano lo Stato ebraico, ma non solo. Il cessate il fuoco concordato con il Libano dei giorni scorsi sembra – come in effetti è – piuttosto una farsa, tant’è che subito a ridosso dell’annuncio della tregua in Libano, Israele ha avvertito il regime siriano: “Se aiutate ancora Hezbollah, pagherete un prezzo carissimo” e sono iniziati raid israeliani in territorio siriano che nei giorni scorsi hanno colpito  alcuni ponti nella regione di Qusseir, vicino al confine sirano-libanese, viatico primario degli invii di aiuti da parte di Teheran, diventando a cadenza quasi settimanale, a conferma della necessità di Israele di contrastare la presenza iraniana e degli Hezbollah nella Regione. In questa situazione gli analisti vedono un territorio che si sta prefigurando come principale perno degli equilibri che ruotano intorno al così detto Asse della Resistenza (o Mezzaluna sciita): da una parte l’Iran con la Russia di Putin, gli Hezbollah e la Siria, dall’altra Israele e gli Stati Uniti, suo fondamentale sostenitore militare e finanziario. Non è dunque un caso che si consideri quasi una nuova guerra fredda tra la Russia di Putin e gli Stati Uniti di Biden, in attesa però dell’approssimarsi della definitiva presa in carico alla Presidenza americana di Trump. Ma la Russia preme ed è presente, perché ha molti interessi in Siria: è il suo ponte verso l’Africa, ha presenza navale in Siria: i due avamposti principali sono la base navale di Tartus e quella aerea di Ḥumaymīm/Khmeimim, nei pressi di Latakia. La prima rappresenta l’unica installazione marittima di Mosca nel Mediterraneo e dove nel 2017 la Russia ha sottoscritto, per ben 49 anni, il controllo e la sovranità del territorio dove sorge la base con, fra l’altro, un importante obiettivo: ampliare l’infrastruttura per consentire l’attracco di navi a propulsione nucleare. Non solo: vanno considerate le pressioni interne anti-israeliane dei gruppi armati in Iraq e gli Houthi dello Yemen. 

Se dunque la Siria è stata, fino a qualche settimana fa, un territorio con inferiore impatto mediatico rispetto alla guerra nella Striscia di Gaza ed in Libano, confinata a zona strategica di passaggio per le rotte di rifornimento di Iran, Iraq e Libano stesso, è di fatto, al momento, il perno delle evoluzioni in Medio oriente e zona di equilibrio delle pressioni occidentali. La Siria rappresenta forse più degli altri Paesi di questa parte del mondo il principale territorio da proteggere, specialmente per la Repubblica Islamica, sia per la maggiore vulnerabilità degli obiettivi alla portata di Israele, che la vorrebbe piuttosto un Paese stabile e senza influenze, soprattutto da parte persiana, sia perché rappresenta un ponte verso gli Stati africani, potenzialmente emergenti.

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