Elezioni Usa: la vittoria di Trump, la sconfitta di Kamal Harris. Perché l’elettorato americano ha preferito il tycoon e possibili ripercussioni della politica trumpiana

Di Barbara Mascitelli e Barbara Rucci

Donald Trump ha vinto. L’ex Presidente è il nuovo 47esimo Presidente degli Stati Uniti d’America con una percentuale di voti che ha decretato un’affermazione schiacciante sulla rivale Kamala Harris. Una vittoria inaspettata per i sondaggisti, che davano lo scontro tra la vice di Biden ed il tycoon in bilico fino all’ultimo.

I fattori che hanno determinato la vittoria di Trump sono molteplici: sicuramente l’entrata in gioco in seconda battuta di Kamal Harris ha giocato un ruolo fondamentale nel gestire una macchina propagandistica che nel caso di Trump era già in fase avanzata. Quando Biden ha “abdicato” a favore della Harris, era già forte il malcontento popolare non solo relativamente alla sua difficoltà di gestire la presidenza per i suoi evidenti problemi di salute, ma anche, nello specifico, per la gestione della sua amministrazione, il tutto accentuato dalle due guerre tuttora in atto, ossia quella russo-ucraina e quella israelo-palestinese, estesa di fatto al Libano ed Iran. La Harris si è, infatti, zavorrata sulle inefficienze della politica di Biden della quale non ha saputo riscontrare le pecche, non differenziandosi da quest’ultimo ma anzi restandogli fedele nonostante tutto. Ricordiamo che gli stessi social media hanno mandato in loop la risposta che la stessa Harris diede alla conduttrice Sunny Hostin quando le chiese: “Avrebbe fatto qualcosa di diverso dal presidente Biden negli ultimi quattro anni?” e la Harris: “Non mi viene in mente niente, niente”. Al pubblico sembrò nervosa, impacciata, un atteggiamento che spesso le è stato rimproverato.

Kamala Harris ha evidentemente convinto solo parzialmente l’elettorato attivo, nonostante i numerosi endorsement a partire da Tylor Smith, fenomeno globale amato dai giovani e specialmente dalle donne giovani, alla adoratissima Oprah Winfrey, fino all’ex Presidente Obama e consorte. D’altro canto le critiche alla Harris erano già arrivate con le primarie dem del 2020 da cui è uscita con 844 voti contro i suoi sfidanti (vedi 912.214 di Pete Buttigieg, i 2.475.130 di Michael Bloomberg, i 2.780.873 di Elizabeth Warren, i 9.680.121 di Bernie Sanders). Non hanno nemmeno convinto i temi cardine della sua campagna elettorale: il rafforzamento dei diritti civili con un’attenzione particolare al mondo femminile per il diritto all’aborto, la giustizia sociale ed un interesse verso le comunità marginalizzate non sono state sufficienti a contrastare le promesse di Trump su sicurezza nazionale, fine delle guerre e “meno tasse per tutti”.

Trump ha puntato – intelligentemente – sulla classe media, sul ceto attualmente più sofferente, insieme a quello operaio, a cui sarebbe devoluto il compito di uscire dalle crisi, mentre ad oggi ne rappresenta l’emblema in un sistema economicamente repressivo. Ed ecco le prospettive di Trump, verso misure assistenziali a sostegno del ceto medio-basso, interventi per la classe media e le piccole imprese, volti ad incrementare la produttività e politiche correttive e redistributive per limitare gli eccessi di potere delle grandi imprese. I temi di economia, inflazione, immigrazione e criminalità, spese e mediazione per le guerre in atto affrontati da Trump e non analizzati dalla Harris. In ultimo, il tycoon ha giocato, nuovamente sulla sua forte personalità. Può sembrare banale ma non lo è stato, evidentemente. Che che se ne dica, forte del suo carisma, è riuscito anche in passato a far desistere dal candidarsi molte personalità, una fra tutte Michelle Obama.

Le conseguenze internazionali della vittoria di Trump

La vittoria di Donald Trump riapre scenari incerti per gli equilibri internazionali, con effetti potenzialmente destabilizzanti sulle relazioni con i partner globali. Tra le priorità che Trump potrebbe perseguire vi sono il ridimensionamento del ruolo statunitense nella NATO, una politica migratoria più rigida ed un atteggiamento protezionista che influenzerà i rapporti commerciali, in particolare con l’Unione Europea e la Cina. Questa visione ha già trovato spazio nelle sue dichiarazioni, dove ha promesso una “America First” ancora più accentuata, mirata a concentrare le risorse interne sulla classe media e sulle infrastrutture statunitensi.

Un esempio concreto di questo approccio potrebbe essere il ritiro o la riduzione della presenza delle truppe americane all’estero, che potrebbe compromettere la sicurezza degli alleati europei e mitigare l’influenza degli Stati Uniti in Medio Oriente. Conflitti come quello israelo-palestinese rischiano di acutizzarsi, dato che l’amministrazione Trump ha da sempre supportato Israele mediando parzialmente con gli altri partecipanti al conflitto. Questo potrebbe anche intensificare le tensioni con l’Iran, già al centro delle sanzioni economiche imposte durante il primo mandato Trump, mettendo sotto pressione i partner europei per spese militari più elevate all’interno della NATO.

Inoltre, la politica climatica sarà probabilmente marginalizzata: Trump ha già mostrato in passato una forte opposizione agli accordi di Parigi e alle politiche ambientali considerate restrittive per l’economia americana. Un ritorno a politiche favorevoli all’industria dei combustibili fossili potrebbe allontanare ulteriormente gli Stati Uniti dagli obiettivi globali di sostenibilità.

Infine, la spinta protezionistica della nuova amministrazione rischia di avere ripercussioni anche sulle economie europee, abituate a uno stretto legame economico con gli Stati Uniti. Trump potrebbe reintrodurre dazi su prodotti importati, colpendo settori strategici come quello automobilistico e siderurgico.

Questo scenario si interseca strettamente con le sfide economiche interne: un ceto medio in sofferenza è in attesa di interventi economici immediati che potrebbero però allontanare gli Stati Uniti dai partner storici.

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