Vivere in uno stato che metta al centro le persone e il rispetto della dignità umana dovrebbe essere l’ambizione di ogni cittadino che voglia rispecchiarsi in una classe politica veramente degna di rappresentare il proprio popolo. Tuttavia, negli ultimi anni, nel civilissimo Occidente stiamo assistendo a un dibattito abnorme che vede al centro la questione migratoria.
La migrazione, un fenomeno complesso e multifattoriale, viene sempre più utilizzata come strumento di propaganda politica, trasformandosi in una bandiera da sventolare per ottenere consensi e polarizzare il dibattito politico.
In molti paesi occidentali, la narrazione politica attorno ai fenomeni migratori sembra seguire un copione ben definito: da un lato si dipinge il fenomeno come una minaccia per la sicurezza nazionale e la stabilità economica, dall’altro si utilizzano toni allarmistici per catalizzare l’attenzione dell’elettorato, distraendolo da altre problematiche interne come la disoccupazione, le crisi sanitarie e l’inefficienza delle infrastrutture. In questo modo, la discussione sull’immigrazione viene piegata alle esigenze del momento, senza considerare le reali implicazioni umane e sociali di chi è coinvolto.
Politiche e promesse di “soluzioni rapide” si traducono spesso in interventi spot, che non solo non risolvono i problemi ma finiscono per alimentare una narrativa di scontro continuo. Si assiste, ad esempio, all’annuncio di blocchi navali, di respingimenti o di misure restrittive ai confini, tutte iniziative che, sebbene possano dare l’impressione di una risposta ferma, non tengono conto delle dinamiche profonde che spingono le persone a migrare: guerre, cambiamenti climatici, povertà estrema. Gli slogan o le “sparate” servono a guadagnare spazio sui giornali e a galvanizzare una parte dell’elettorato, ma ignorano completamente la dimensione strutturale del fenomeno.
A livello mediatico, la strumentalizzazione si riflette in immagini di sbarchi e titoli sensazionalistici, che dipingono i migranti come invasori o minacce alla “nostra” identità. In questo contesto, la narrazione umanitaria viene spesso soffocata da un racconto che punta alla paura e alla divisione, alimentando una percezione distorta della realtà. Il risultato è un clima di polarizzazione sociale, in cui si perde di vista il rispetto per la dignità umana e la necessità di politiche che guardino oltre l’emergenza del momento.
Ma qual è la strada per affrontare realmente il fenomeno migratorio? Una risposta che vada oltre gli slogan deve partire dal riconoscimento che la migrazione è un fenomeno globale e complesso, che richiede politiche strutturali e un approccio multilaterale. Occorre investire nella cooperazione internazionale, sostenere lo sviluppo delle aree più colpite da crisi economiche e ambientali, e creare canali di migrazione legale che permettano alle persone di muoversi in sicurezza. Solo attraverso un dialogo costruttivo tra paesi di origine, transito e destinazione, e con il coinvolgimento delle organizzazioni internazionali, sarà possibile ridurre la pressione migratoria senza calpestare i diritti fondamentali.
Inoltre, è necessario che la politica torni a essere un luogo di ascolto e di proposta, capace di elaborare soluzioni di lungo periodo. Senza un cambio di rotta, continueremo a vivere in un perenne stato di emergenza, dove ogni evento legato alla migrazione diventa un’occasione per alimentare il dibattito ideologico e polarizzante.
L’immigrazione non è un problema da risolvere, ma una realtà da gestire con intelligenza e umanità. Solo mettendo al centro le persone, e non gli slogan, si potrà costruire una società inclusiva e solidale. E questo dovrebbe essere l’obiettivo di ogni stato che voglia definirsi civile.