Diversi i nodi che il Governo deve affrontare prima della fine dell’anno: dal controllo dei conti, ai problemi della macchina amministrativa, per arrivare al rispetto dei paletti del Pnrr. E, sullo sfondo, lo spauracchio del referendum sulla cittadinanza.
Una volta si chiamava autunno caldo quello che, puntualmente con la riapertura delle Camere dopo la pausa estiva, si parava davanti al Governo. Quello delle contestazioni davanti a Mirafiori e degli scioperi generali. E se oggi la situazione è di apparente calma sociale (ma occhio alla crisi della manifattura europea che presto o tardi esploderà), la situazione politica è decisamente in tensione. Il Governo guidato da Giorgia Meloni è chiamato a diverse sfide in pochi mesi. La prima, gigantesca, quella della tenuta dei conti pubblici. La prossima manovra seguirà i dettami del Piano strutturale di bilancio, ora sul tavolo del Consiglio dei ministri dopo gli ultimi aggiornamenti, e sarà presentato alle Camere nelle prossime ore.
Nel documento la sintesi del pensiero del Ministro dell’Economia Giorgetti: progressivo calo del deficit, taglio del cuneo, nuova imposta Irpef e caccia alle risorse. Sempre poche per tutte le esigenze. “Ridurre il debito è un obbligo nei confronti delle nuove generazioni. Il deficit calerà sotto il 3% già dal 2026. Il Superbonus non ci aiuta, ma entro questa data avremo superato l’impatto che aveva sul debito. La finanza pubblica è di nuovo sotto controllo”, ha chiosato il Ministro. L’opposizione però non è convinta: “Giocare con i conti non vuol dire risanare”, criticano i Dem.
Il piano si va a innestare anche in continuità con gli investimenti richiesti dal Pnrr. Su questo fronte Fitto dovrà lottare per una revisione del piano della Commissione Ue del 7 agosto. In particolare, ci sarà da lavorare per trovare l’accordo sulle riforme richieste, le quali spaziano dalla concorrenza, semplificazione, tempi di pagamento della Pa, la lentezza della macchina amministrativa e giustizia civile. La Giustizia appunto. Il Tribunale di Firenze ha accolto la questione della legittimità costituzionale della riforma Nordio sull’abolizione dell’abuso d’ufficio, approvata in agosto. E tra pochi giorni si accoderanno anche i magistrati di Reggio Emilia. E chissà quanti altri. La palla adesso passa alla Corte Costituzionale. Tutti problemi di non facile soluzione, ma l’unica ‘minaccia’ alla stabilità del Governo sembra profilarsi con il referendum sulla cittadinanza.
La proposta di +Europa è stata votata da mezzo milione di firmatari e prevede di dimezzarei 10 anni di residenza legale in Italia richiesti per poter avanzare la domanda di cittadinanza italiana, estensibile quindi ai figli minori.
Il referendum modificherebbe l’articolo 9 della legge 91/1992, passando da un diritto ottenibile da nascita da cittadini italiani (ius sanguinis) a un diritto ottenibile tramite un periodo prolungato di residenza nel paese: ne beneficerebbero 2,5 milioni di persone. Facciamo un esempio immaginario: oggi Amid, che parla italiano meglio di molti italiani di nascita, vive stabilmente nella tua stessa città con un lavoro onesto, tifa gli Azzurri quando li vede alla tv, deve aspettare un decennio per poter essere considerato italiano. In Germania, con lo stesso lavoro, con la stessa proprietà di linguaggio, con la stessa passione nel seguire la Mannschaft dalla divisa bianca, ne bastano 5. La Corte Costituzionale deciderà se approvare il quesito a gennaio, con voto in primavera.
All’interno del Governo le posizioni però sono molto distanti. Forza Italia si è schierata con una proposta più prudente come lo ius scholae, il diritto cioè di ottenere la cittadinanza completando un ciclo di studi di 5 anni: ne beneficerebbero ogni anno 135mila persone. Al Governo non è piaciuta forse questa ricorsa sulle posizioni della Bonino, stando al gelo delle dichiarazioni di queste ore: “All’interno della maggioranza si è fatta la riflessione che la normativa sulla concessione della cittadinanza va bene così com’è, non si sente nessuna necessità né numerica, né sociologica, né pragmatica di cambiarla. Rischia di essere un altro fattore di attrazione per immigrazioni irregolari”, ha dichiarato Salvini. E Giorgia Meloni? La Premier, impegnata in prima linea nella difficilissima situazione internazionale, stavolta sta con Lega: è una riforma non necessaria. Con buona pace di Amid.