I medici non sono nostri nemici

Le recenti e sempre più frequenti notizie di violente aggressioni subite da medici e infermieri da parte di pazienti o di loro parenti suggeriscono alcune considerazioni, e non si tratta solo di quanto più volte espresso dalla stampa secondo cui gli ospedali andrebbero presidiati dalle forze dell’ordine (o addirittura dall’esercito) a tutela dell’integrità e del lavoro dei sanitari. Certamente tale presidio si rende ogni giorno più necessario, e se il governo ha in programma di operare in tal senso l’iniziativa va decisamente condivisa.

Rimane tuttavia una profonda tristezza pensando di vivere in un paese in cui i sanitari, tutori della nostra salute, necessitano della protezione della polizia per svolgere il loro compito.

Le considerazioni sopra accennate sono invece le seguenti.

La prima: La medicina non è una scienza esatta. Probabilmente non lo sarà mai nonostante i formidabili progressi compiuti nel recente passato e nonostante quelli che possiamo ragionevolmente prevedere per il futuro. Non è e non sarà mai una scienza esatta nel senso che non sarà mai possibile prevedere con matematica certezza che a una data azione terapeutica o chirurgica seguirà un dato positivo risultato.

La complessità del corpo umano e l’imperfezione (nonostante i progressi) della scienza medica impediscono di raggiungere tale certezza.

La seconda considerazione poggia invece su argomentazioni giuridiche.

L’art. 2236 del codice civile ha così testualmente delimitato la responsabilità non solo dei medici ma di tutti coloro che esercitano professioni intellettuali: “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave.”

L’elaborazione giurisprudenziale ha poi costantemente definito quella del medico un’obbligazione di mezzi (e non di risultato). Ciò significa che il professionista si obbliga ad agire applicando con scienza e coscienza le regole dell’arte e a fare tutto quanto è nelle sue possibilità per soddisfare l’interesse del paziente, ma senza necessariamente garantire la realizzazione del risultato sperato. Ed è questa la logica conseguenza dell’imperfezione della scienza medica cui prima si accennava.

Laddove quindi all’azione terapeutica non cosegua il successo sperato è necessario distinguere fra insuccesso incolpevole e insuccesso colpevole, cioè dovuto a dolo ovvero a imperizia, imprudenza o negligenza. Solo in questo secondo caso sarà corretto incolpare il medico, sia in sede penale per omicidio o lesioni colpose, sia in sede civile per assicurare alla vittima o ai suoi discendenti un adeguato risarcimento.

Tornando agli episodi di violenza ai danni dei sanitari, pur non potendo negare sul piano emotivo il dolore e lo sconforto di coloro che ne sono stati autori dopo avere appreso della morte di un congiunto, va considerato che i principi etici e giuridici sopra enunciati, benché non a tutti così esplicitamente chiari nella loro definizione tecnica, dovrebbero appartenere a una cultura di civile convivenza condivisa da tutti. Ma visto che così non è, e che la cronaca ci mostra una situazione via via ingravescente, dobbiamo concludere che ci troviamo di fronte ad un ulteriore ennesimo aspetto dell’imbarbarimento della nostra società.

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