Erdogan e il sogno BRICS: una Turchia in bilico tra Oriente e Occidente

Recep Tayyip Erdogan, mai a corto di sorprese, ha deciso di puntare tutto sul grande Oriente. Dopo anni di turbolenti relazioni con l’Occidente, la Turchia ha ufficialmente presentato agli inizi di settembre la sua candidatura per entrare a far parte dei BRICS, il blocco economico formato da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Un passo che, a prima vista, potrebbe sembrare solo un’ulteriore mossa tattica del presidente turco, ma che nasconde dinamiche geopolitiche ben più complesse.

Come siamo arrivati a questo punto?

Non è un segreto che le relazioni tra Turchia e Unione Europea abbiano preso una piega sempre più gelida. Erdogan, una volta sostenitore entusiasta dell’adesione della Turchia all’UE, ha progressivamente cambiato rotta di fronte a un’Europa che si è dimostrata riluttante ad aprire le porte ad Ankara. Gli ostacoli economici, politici e i timori per i diritti umani hanno alimentato il divorzio. Nel frattempo, la Turchia si è reinventata come potenza regionale, con una politica estera sempre più assertiva: dalle ambizioni in Siria e Libia, fino all’influente ruolo nel conflitto russo – ucraino.

Erdogan, pragmatico quanto ambizioso, ha capito che il futuro si sposta verso Oriente, dove i BRICS rappresentano una promettente alternativa alle istituzioni occidentali dominate dagli Stati Uniti e dall’UE. Dopo la crescente cooperazione con la Russia di Vladimir Putin, un flirt prolungato con la Cina e un rinnovato interesse per l’Africa, la Turchi ha maturato il desiderio di entrare in questo club esclusivo che promette una “nuova” governance mondiale.

Un problema per la NATO?

Qui sorge una domanda che ci interessa di più: cosa significherebbe per noi, paesi Occidentali, vedere un membro della NATO – con il secondo esercito più grande dell’alleanza – unirsi ai BRICS? Beh, la risposta non è così semplice.

Da un lato, la NATO ha già dovuto affrontare le “bizzarrie” di Erdogan, che ha giocato – e continua a farlo – su più tavoli. La Turchia ha acquistato i sistemi missilistici russi S – 400, in aperta sfida alle direttive della NATO e ha spesso avuto posizioni ambigue su questioni di guerra come quella russo – ucraina. Tuttavia, la Turchia rimane un pilastro cruciale della strategia dell’Alleanza, grazie alla sua posizione geografica strategica e alla potenza militare.

Un ingresso ai BRICS non implicherebbe automaticamente una rottura con la NATO, ma creerebbe certamente frizioni. Erdogan sarebbe il primo leader a sedere a tavoli così contrapposti: da un lato la NATO e dall’altro il blocco orientale, e così tutti i segreti dell’uno e dell’altro verrebbero rivelati all’occorrenza. Sembra una manovra da manuale di realpolitik, ma la storia ci ha insegnato che le ambiguità diplomatiche, prima o poi, hanno un prezzo da pagare.

Possibili scenari: la Turchia ponte o pietra d’intralcio?

I BRICS, sebbene si presentino come un’alternativa al dominio occidentale, sono tutt’altro che un blocco monolitico. Al loro interno convivono tensioni tra India e Cina, divergenze economiche e agende politiche che spesso non coincidono. Inserire la Turchia in questo già complesso mix potrebbe sia rafforzare il gruppo, aggiungendo una pedina strategica nel Mediterraneo e Medio Oriente, sia complicare ulteriormente il coordinamento tra i membri.

Per l’Occidente, l’adesione turca ai BRICS potrebbe rivelarsi un’opportunità per comprendere meglio le dinamiche interne del blocco orientale. Erdogan potrebbe giocare il ruolo di mediatore – parole che ultimamente gli si addice molto – o, in uno scenario più oscuro, quello di cavallo di Troia, portando con sé le tensioni NATO – BRICS sul terreno di gioco globale. E non dimentichiamoci che il presidente turco è maestro nell’arte di sfruttare le proprie posizioni a proprio vantaggio, senza mai legarsi completamente a nessuno delle parti in causa. Un perfetto Joker.

Le implicazioni economiche

Non si tratta solo di geopolitica. Per Erdogan, l’ingresso nei BRICS potrebbe rappresentare una manna dal cielo per un’economia turca afflitta da inflazione galoppante e debolezza monetaria. Allearsi con economie emergenti e dinamiche come quelle di India e Cina aprirebbe nuovi mercati per la Turchia e potrebbe garantire importanti flussi di investimenti. Non a caso, i BRICS hanno recentemente accelerato la loro agenda economica con l’introduzione di una valuta comune per sfidare il dollaro americano. Un Erdogan che cavalca quest’onda potrebbe rivendicare la Turchia come avamposto economico tra due mondi.

Chi vince e chi perde?

Dunque, la mossa di Erdogan è tanto ambiziosa quanto rischiosa. Per l’Occidente, soprattutto per la NATO, potrebbe significare la necessità di ripensare la propria relazione con un alleato sempre meno prevedibile e più orientato a est. Ma per la Turchia, questa può essere l’occasione di emergere come potenza globale indipendente, sfruttando le tensioni tra Oriente e Occidente a proprio vantaggio.

E come finirà questa partita a scacchi? Se c’è una cosa che sappiamo di Erdogan è che difficilmente seguirà le regole del gioco. Non lo ha mai fatto perciò, prepariamoci ad un futuro in cui Ankara potrebbe essere sia alleata sia avversaria, a seconda come tira il vento di Bosforo. E, nel frattempo, non sorprendiamoci se un giorno lo vedremo fare il doppio saluto militare: uno per la NATO e uno per i BRICS.

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