Le briglie della ragione sessuale. A Trieste i primi ferri corti della parità di genere

“Gender neutral”. Solo una pubblica «propaganda»iperprogressista o una tolleranza all’educazione dell’ipercorrezione? A spiegarlo è l’esempio del liceo triestino Galileo Galilei

Se non è stato ancora chiesto, la domanda è questa: c’è più convinzione nell’esperimento, quello dei bagni “senza genere”già aperto dalla Bocconi, da parte della dirigente scolastica del liceo triestino nel paradigma sociale della neutralità di genere?

Ammesso che qui potrebbe essere solo una tra le due, ma anche se la risposta contemplasse entrambe le opzioni, non rimarrebbe purtroppo una deludente sorpresa dopo le dichiarazioni rilasciate alla stampa.

Sulle pagine del Piccolo si riportava due giorni fa la vicenda scaturita dalla iniziativa proposta dalla dirigente scolastica del liceo scientifico Galileo Galilei, una delle scuole più in vista di Trieste, di inserire i bagni “senza genere” in un solo piano della sede centrale scolastica. Con questa scelta sarebbe stato inaugurato l’anno scolastico per il corpo studenti e docenti della scuola, i quali poi, a detta della dirigente, avrebbero valutato l’opportunità concessa.

Nello specifico però la dirigente avrebbe così valutato la sua proposta: “Se le ragazze mi dicono che la soluzione non le trova a loro agio o è poco funzionale, sono pronta a fare marcia indietro”.

Una simile proposta era stata già fatta qualche tempo addietro nel rinomato ateneo milanese della Bocconi, dove però l’iniziativa mirata a tutelare la parità di genere e rimuovere le forme discriminatorie sessuali tra gli studenti, era, a discrezione tutta del vertice dirigente, veramente rivolta agli studenti e al corpo universitario, non all’immagine aziendale

Il caso triestino sembra non leggermente differente, quando la dirigente esprimendosi ‘a discrezione’ dei suoi studenti (e non a sua discrezione), esimendosi dunque dalla sua discrezionale prerogativa educativa, ha dichiarato che sarebbe stato valutato in base all’”agio” di persone, la cui stragrande maggioranza è ancora minorenne, e frequenta la scuola proprio per essere educata dai suoi docenti e dirigenti.

Trasferendola su un piano più elementare, la vicenda suonerebbe come se a dei studenti d’una classe fosse concesso dai docenti di scegliere quali insegnamenti e di quali materie riceverli nel loro percorso scolastico. Non sarebbe più “scuola dell’obbligo”, laddove l’obbligo, è bene ricordarlo, consiste nel dotare tutti gli individui appartenenti ad una società degli stessi strumenti etici, morali e culturali per poterne diventare i futuri cittadini che condivideranno un insieme di valori collettivi su cui si baserà la loro civiltà politica. 

Nella nostra civiltà politica di indirizzo democratico l’obbligo della scuola è sancito da una legge che è quella costituzionale, e che si esplica proprio all’art. 34 della Costituzione appunto. E se la scuola viene meno al suo primario e principale dovere civicoper il quale è obbligatoria fino alla maturità d’un ragazzo, non solo sfregia il volto della democrazia, dalla cui istituzione anticamente essa è nata, ma assente della sua disciplina, cancella la teoria del diritto. 

La sgradita possibilità di essere educati in uno spazio dove tutto ciò che è malleabile o opzionale, quindi agio, può diventare regola, o principio e per assurdo anche uno statuto di regolamento aziendale, offre inevitabilmente l’altra possibilità di leggere la “parità” laddove solo c’è scritto diversità, ignorando invece tutte le altre scritture o versioni di disparità, non avendo avuto affatto l’educazione alfabetica per discernere le varie lettere. 

Una collettività che si trova a vivere in un clima a questo punto anti-politico, ma solo pubblicistico per il suo alto tasso propagandistico, dal quale deriva il dilagante linguaggio dell’alfabeto politichese, e che non è in grado di apprendere la ragione della parità, non è biasimabile se leggerà realmente non una singola libertà ma diverse. Diverse in quanto ciascuno deve indossare una propria taglia della democrazia, quasi sartoriale, così come meglio lo rappresenta nella sua comodità alterna alla disciplina civico-morale, e soprattutto personale.

Nel risparmio allora di ulteriori letture opinabili di quei fogli del Piccolo, poi riportati dalla delicatezza di Massimo Balsamo sul Giornale, e ancora dalla mediazione intelligente che ne fa Carlotta Lombardo sul Corriere della Sera, si dirà che lipercorrettivismo che sempre più si registra all’interno delle istituzioni con cui si è operata di frequente l’equazione pari opportunità – pari sessualità, ha messo da solo le briglie alla ragione del sesso.

La parità sessuale, che ancora oggi si conferma nella sua intricatissima dissidenza interna un vero paradosso, continua a vantare i propri natali dall’”autoreferenzialismo” che ha assunto la nostra cosa pubblica. È cioè, con quanto più di speculare offerto dal presente esempio triestino, un fatto più politico che socialmente umano. 

Dispiacciono allora non i contrasti che sono sorti tra l’Ufficio scolastico del Galilei e l’assessore regionale all’istruzione Alessia Rosolen che si afferma stupefatta come “una dirigente appena insediata ritenga prioritario intervenire non sull’offerta formativa o sulla didattica, ma utilizzi il serissimo tema dei diritti per un’iniziativa che lascio agli studenti e ai genitori valutare”.

A dispiacere sono le incessanti rivendicazioni etichettate all’unisono “anti-discriminanti” di quei sostenitori delle comunità Lgbt e della natura squisitamente umana dell’”orientamento sessuale” e non tangente all’atto politico, mentre quelle stesse ragioni scoprono d’essere invece bisognose, imbrigliandosi da sole, d’una legge che le “normalizzi” e d’un partito che le promuova dentro un programma definito progressista. 

Non sappiamo quante altre saranno le proposte simili a questa del liceo triestino, ma si potrebbero immaginare le soluzioni che verranno valutate più adatte per neutralizzare la diversità della nostra società eliminando la nostra identità umana che sinora la democrazia fatica a garantire senza libertà.

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Mauro Di Ruvo
2000, Bari, Critico d’arte, classicista e medievista. Redattore di Politica interna. Attualmente si occupa di Etruscologia e Diritto Romano a Perugia, dove conduce indagini sperimentali in Archeologia Classica. Si è occupato di Estetica cinematografica e filosofia del linguaggio audiovisivo a Firenze presso la storica rivista “Nuova Antologia” e collabora con la Fondazione Spadolini. È autore del romanzo Pasqualino Apparatagliole (2023, Delta Tre Edizioni), e curatore della recensione al libro Oltre il Neorealismo. Arte e vita di Roberto Rossellini in un dialogo con il figlio Renzo di Gabriella Izzi Benedetti, già presidente del Comitato per l’Unesco, per la collana fiorentina “Libro Verità”. Ha già curato per la “Delta Tre Edizioni” le prefazioni alla silloge Lo Zefiro dell’anima (2019) di Pasquale Tornatore e al romanzo Le memorie del dio azteco (2021) dello storico Saverio Caprioli. A novembre 2023, ha curato il Convegno “L’ombra del doppio: la dicotomia nella poiesis” nella città di Lavello.

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