La politica estera nel dibattito Trump-Harris

Un corpo a corpo tra due pugili

Volendo riprendere un’espressione originariamente utilizzata per descrivere la battaglia di Waterloo, quella di un corpo a corpo è stata sicuramente l’impressione che qualsiasi osservatore ha potuto trarre dal dibattito presidenziale recentemente svoltosi negli Stati Uniti; nel quale si sono contrapposti Donald Trump e Kamala Harris. 

Sebbene molte tematiche siano state messe in evidenza in merito alle varie trattazioni intercorse nel dibattito, ciò che è rimasto maggiormente sottotraccia è il resoconto delle rispettive visioni di politica estera; per le quali non abbiamo che un’interpretazione globale e superficiale. 

Trump e il vento isolazionista

Donald Trump risulta molto interessante da analizzare dal punto di vista dello studio della politica estera. La sua concezione può essere infatti descritta come isolazionista; sebbene caratterizzata da alcune particolari sfumature che la connotano in maniera più peculiare. Se infatti osserviamo alcune affermazioni che l’ex Presidente ha fatto durante l’ultimo dibattito con Kamala Harris, possiamo trovare evidenza concreta della complessa caratterizzazione della sua idea di politica estera.

Prima di analizzarle in modo dettagliato, bisogna anche ricordare che Trump ha adottato, nel corso della sua presidenza, un approccio apparentemente caotico; ma che alcuni studiosi hanno invece ricondotto ad un’impostazione più metodica. Vi è infatti chi sostiene che Trump si sia ispirato alla cosiddetta “Teoria del Pazzo” derivante dall’era di Nixon e Kissinger; e che abbia saputo sfruttare la combinazione di tale elemento con la sua personalità vulcanica ed umorale.

Vi sono stati, in particolare, due momenti rivelatori quando Trump ha parlato. In un caso esso ha descritto il classico meccanismo secondo il quale non sarebbe possibile continuare a rimanere nell’OTAN in base alle normali condizioni. Trump sostiene infatti che, durante la sua amministrazione, gli altri membri dell’Organizzazione abbiano pagato più di quanto facevano solitamente in passato; perché, ragionava, se gli Stati membri dell’OTAN non sono disposti ad aumentare le loro spese in difesa e sicurezza, riducendo il contributo statunitense, allora non meritano la protezione di Washington. Questa è una classica posizione del fronte isolazionista sempre più forte all’indomani del ventennio interventista dominato dai falchi neoconservatori. 

Tuttavia, come si diceva in precedenza, sarebbe sbagliato descrivere Trump solo in chiave isolazionista; cosa che invece accade troppo spesso e che dimostra la scarsa comprensione analitica del dibattito italiano sulla politica internazionale. Nel medesimo dibattito c’è stato un momento in cui Trump ha risposto alla Harris sulla questione del ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan nonché sui suoi rapporti cordiali con personalità autoritarie come Putin Kim Jong-un. Sull’Afghanistan, dopo che Harris aveva criticato l’accordo siglato dall’amministrazione Trump coi talebani superando de facto Kabul, Trump ha dichiarato che era con loro che ci si doveva rapportare in quanto il controllo effettivo sul territorio veniva esercitato, od a suo dire comunque largamente condiviso, dai talebani. Trattasi di una posizione degna del realismo delle relazioni internazionali, che troverebbe concorde il più intransigente pensatore di scuola kissingeriana. 

Siamo quindi di fronte ad una concezione che vuole ripristinare il primato americano in senso nazionalista, ma che allo stesso tempo segue principi squisitamente realisti e pragmatici. Come afferma il secondo principio del realismo formulato da Hans Morgenthau:”Il concetto di interesse, definito in termini di potere, permette una comprensione razionale della politica, sulla quale agiscono comunque anche elementi irrazionali”. 

Harris e il dilemma liberale

Volendo restare sui due punti già citati per parlare di Trump, possiamo descrivere ora la posizione di Kamala Harris così come emerge dal dibattito presidenziale. 

Nel caso dell’accordo negoziato da Trump in relazione all’Afghanistan, e sui rapporti amichevoli con governanti di regimi non democratici, la Harris si è dimostrata molto intransigente. Ha criticato infatti la simpatia tra Trump e Putin e l’apertura dell’ex Presidente verso Kim Jong-un descrivendola come un elemento negativo per il leader di una grande nazione democratica. Istanza tipicamente afferente alla scuola liberale delle relazioni internazionali, in particolare all’interpretazione cosiddetta repubblicana; legata all’idea che tra democrazie non può sorgere una guerra e che vede negativamente ogni avvicinamento a regimi che non si dipingono come democratici. 

Per quanto riguarda l’appartenenza all’Otan, la Harris ha ribadito la necessità di sostenere gli alleati degli USA senza porre nessun ostacolo alla cooperazione. Siamo di fronte, in quest’ultimo caso, ad un interventismo che trascende l’anima repubblicana o democratica della politica americana e che si ancora a differenti interpretazioni politiche connesse al ruolo globale degli Stati Uniti. 

Gli USA e il mondo

Difficile fare previsioni in relazione alla politica estera di Washington, se già le idee dei due candidati risultano così complesse e strutturate su più interpretazioni delle relazioni internazionali. 

Quello che è certo è che gli USA non rinunceranno in nessun caso al loro ruolo di superpotenza; con Trump ancora intenzionato a dare battaglia alla Cina e Harris desiderosa di perpetuare il sostegno occidentale all’Ucraina. Sicuramente potremo aspettarci un consolidamento della postura strategica, già inizializzata, tendente al teatro asiatico; con gli alleati europei impegnati a mantenere salda la difesa ucraina e l’integrità politica e strategica del continente. Una variabile significativa potrebbe essere la differenza di vedute sul sostegno all’OTAN, segnando così una netta divisione incentrata sui rapporti tra alleati e con le principali organizzazioni internazionali. 

Per concludere, è importante non dimenticare l’importanza dell’interesse nazionale e della percezione di sicurezza di una nazione. Questi fattori, esposti ad una variazione potenzialmente infinita, sono sempre suscettibili di alterare qualsiasi approccio di partenza in merito alla politica estera di uno stato. 

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here