Verba manent: politici e giustizia in Italia non vanno d’accordo

Il caso Open Arms, la vicenda in cui Salvini è imputato per i reati di sequestro di persona e rifiuto di atti di ufficio, è tornato alla ribalta mediatica dopo la richiesta di 6 anni di reclusione da parte del pm Marzia Sabella. Il 18 ottobre toccherà alla difesa di Salvini esporre le proprie conclusioni. Al netto della vicenda processuale in sé, comunque molto divisiva nel merito dei fatti, questa scossa agita il governo Meloni, alle prese da tempo con troppi casi giudiziari all’interno del proprio esecutivo. È un problema per il “governo dei migliori”, di coloro che annunciavano trasparenza e garantismo, mentre oggi faticano a rimettere al proprio posto alcuni pezzi importanti della maggioranza. 

È facile ricordare che Salvini è a processo, Del Mastro lo sarà, Sgarbi è stato indagato per truffa, la Santanchè è convocata in udienza preliminare per falso in bilancio il 9 ottobre, Pozzolo sarà a processo per lo sparo di capodanno, la Montaruli è stata condannata, Sangiuliano indagato e piombato nello scandalo post estate, Toti ha patteggiato ed effettuerà i servizi sociali. E non siamo neppure a metà del quinquennio della legislatura. Il tema che ci preme sottolineare non è l’errore di qualcuno, il demerito di qualcun altro; non è il governo Meloni ad aver inaugurato una stagione di processati, indagati e condannati nonché di politici che hanno messo in secondo piano il bene comune per fini personali. Purtroppo è una prassi nota alle cronache italiane. Ciò su cui vogliamo riflettere è il distacco, sempre più ampio, tra la politica e la realtà della gente. Checché se ne dica, per quanto l’indice di gradimento dell’attuale governo possa essere perfino elevato, gli italiani sono stanchi di essere rappresentati da persone di scarsa moralità. 

Che poi il rapporto tra magistratura e politica sia deteriorato da trent’anni, è un fatto noto. E sicuramente una parte di magistrati che fa uso strumentale delle proprie funzioni a fini politici esiste, agisce e dà indirizzo ad alcune scelte del corso del nostro tempo. Ma se la politica volesse veramente sradicare il male, avrebbe il potere di farlo. Una seria, reale, riforma della magistratura, che vada a limitare e bilanciare competenze, è il cambiamento più impellente di cui abbiamo bisogno. Continuare a lamentarsi della mala – giustizia, senza riformarla dal basso pur avendo il potere di farlo, e per giunta avere tra le proprie fila rappresentanti non propriamente brillanti per etica politica, è un comportamento incomprensibile delle classi dirigenti che ci rappresentano da anni. Senza esclusione di responsabilità: da sinistra, con Piero Fassino eletto mentre era a processo per turbativa d’asta, Piero De Luca, imputato per bancarotta, passando per il M5S con Riccardo Tucci e Chiara Appendino. 

Senza voler fare un resoconto degli “impresentabili” e rispettando i processi in corso, che condannano solo in caso di sentenza definitiva, non bisogna però nascondersi dietro a un dito: chi rappresenta le istituzioni non può avere pendenze con l’amministrazione della giustizia. Non è un “grillismo” giornalistico, bensì puro buon senso. Come ci si sente a essere rappresentati da processati o condannati? In un sistema politico che funziona, può essere giustificato come una debolezza, un errore. Nel nostro sistema politico, invece, è prassi ricorrente e ciò distanzia il corpo elettorale, che oggi infatti non vota più, dalla classe dirigente, che viene eletta e vince le elezioni grazie appena alla metà degli aventi diritto al voto. È un tema serio, che lega giustizia e politica attiva; se ne parla, ma troppo poco. Sarebbe tempo che i media aprissero un dibattito costruttivo in tal senso.

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