Riflettere sul significato generale del voto appena trascorso sarebbe superfluo: chi ha preso di più, chi di meno, chi è stato eletto, chi no. Sono stati consumati fiumi di inchiostro nel prospettare scenari, alleanze, glorie e cadute dei leader a capo dei partiti che si sono dati battaglia nell’agone antistante Bruxelles. Quasi nessuno ha tuttavia posto l’accento sull’impatto dei candidati di bandiera nelle dinamiche europee. Non dimentichiamo, infatti, che la contesa voto per voto è il mezzo, ma il fine è ben diverso: ciascuno si candida, o almeno dovrebbe, perché sa di portare qualcosa in più, e di meglio, all’Europa. Abbiamo confuso il mezzo con il fine; circoscrivere un’elezione soltanto al risultato, senza guardare al dopo, rischia di confonderci su quale sia la missione europea: un’UE più inclusiva, dalle politiche visionarie, uniformata fiscalmente, con una politica estera comune, con un’attenzione specifica alle singolarità economiche degli Stati.
Riassunte così le finalità, per sommi capi, del lavoro da fare tra Strasburgo e Bruxelles, appare difficile comprendere l’apporto dei candidati bandiera. Ovvero di quelle figure che i partiti hanno gettato nella mischia con un unico obiettivo: fare incetta di voti. E bravi, perché ci sono riusciti. Ma a scapito di cosa? Prendiamo due esempi: Roberto Vannacci e Ilaria Salis. Da una parte un fervido militare, sotto esame della propria Corte per delle idee pubblicamente scritte ed espresse e alquanto discutibili, dall’altra una contestatrice violenta che prende a pugni i propri oppositori (e finisce in condizioni vergognose e inumane nelle prigioni ungheresi; chi ci legge da un po’ conosce l’ardore con cui abbiamo difeso la dignità di Salis). Resta il fatto che si tratta di due personaggi ai margini della propria carriera – il generale in fase calante tra i ranghi dell’Esercito, la professoressa Salis detenuta – e privi di cultura politica e istituzionale. Alle sfide europee come la risoluzione dei conflitti, la ricostruzione dei Paesi colpiti, la crisi energetica e tanto altro, come possono contribuire? Come possono incidere nei meccanismi culturali e legislativi dell’Unione?
La verità è che si sono sfruttati a vicenda, loro e i propri partiti. Da un lato, essi hanno trovato una sistemazione e un’affermazione, dall’altro chi li ha candidati ha guadagnato consensi da rivendicare. Verranno messi successivamente ai margini della politica, quando le acque si calmeranno e si tornerà a parlare di Europa una tantum o solo quando l’Europa proporrà qualcosa di discutibile agli occhi dei più bigotti conservatori. Il problema è che ancora in pochi hanno capito che i meccanismi decisionali non stanno a Roma, ma a Bruxelles e a Strasburgo. Ciononostante, si ostinano a trattare l’UE come capro espiatorio di tutti i mali. Piccolo suggerimento non richiesto: durante le ferie, consigliamo un viaggio tra le istituzioni europee. Respirare un’aria nuova, d’Europa, giovane e vivace – al contrario di quanto si dica tra le nostre strade – può fare solo bene.