Qualcuno ha ancora dubbi sull’Iran?

Tutti abbiamo assistito al recente attacco iraniano contro Israele, avvenuto attraverso un massiccio lancio di droni. Questo ha causato molta tensione e ha fatto aumentare le preoccupazioni connesse ad una possibile involuzione dell’attuale situazione di crisi nella regione mediorientale. 

L’attacco al consolato di Damasco 

Volendo fare luce sulle cause della forte reazione iraniana, dobbiamo tornare all’attacco che Israele ha condotto contro il consolato iraniano. 

Nelle ultime ore è girata in rete un’intervista al ministro degli Esteri britannico David Cameron, al quale la giornalista ha chiesto se Israele abbia fatto bene ad eseguire l’attacco. Domanda volutamente insidiosa; soprattutto se, come Cameron, si cade nel tranello del “perché noi sì e loro no?” in riferimento alla legittima possibilità di reagire di fronte ad un atto aggressivo contro una propria sede diplomatica. 

Tuttavia la lettura deve essere più ampia. Queste azioni, per quanto violente e suscettibili di causare conseguenze inattese, debbono venir inquadrate nel contesto di crisi securitaria in cui Israele si è ritrovato. In aggiunta a ciò, per come funzionano le dinamiche internazionali, quando uno Stato percepisce aperta ostilità da parte di un altro Stato a lui vicino, solitamente esso intraprende delle azioni più o meno dirette; soprattutto nel caso in cui l’ostilità si manifesti in un supporto concreto ai propri avversari. 

Tradotto in maniera brutale, significa che Israele sa che il governo di Teheran aiuta Hamas e le altre formazioni irregolari ad esso ostili; tentando dunque di alleggerire il peso di questo aiuto con azioni di sconvolgimento ai danni dell’Iran. 

Sciame di droni

Lecita o no, l’azione di Israele a Damasco ha causato la reazione iraniana alla quale abbiamo assistito quasi in diretta tv. Una reazione che ha assunto forme spettacolari e massive; ma che in realtà non ha causato molti danni, dato che sono stati sostanzialmente abbattuti quasi tutti i velivoli lanciati. 

Quando si parla di droni bisogna fare molta attenzione, poiché si tratta di un elemento altamente impattante sulla strategia e sulla tattica militare. Gli effetti di questi mezzi sull’evoluzione dell’arte militare sono ancora oggetto di dibattito tra gli studiosi, divisi sull’aspetto rivoluzionario o continuativo da imputare all’apporto concreto dei droni. 

Un fattore molto importante per comprendere gli effetti operativi legati ai droni è quello della probabilità di errore circolare, un parametro che permette di misurare la precisione delle munizioni lanciate da un dato sistema d’arma. Se nel contesto della guerra del Vietnam nel 1970 per colpire un singolo obiettivo erano necessari trenta passaggi ed il lancio di centosettanta bombe, nel 2003 in Iraq un solo bombardiere poteva lanciare sedici bombe per colpire sedici obiettivi. Questo significa che già vent’anni fa una singola bomba era in grado di centrare con precisione l’obiettivo; anche grazie ad un’ottimizzazione che consente di bersagliare con un raggio inferiore al metro. Volendo collegarci ai droni, possiamo asserire come il loro avvento abbia incrementato la precisione degli attacchi anche in considerazione di quanto descritto in precedenza. Coi droni è possibile effettuare operazioni di penetrazione aerea in circostanze di maggiore efficienza e con prestazioni più affidabili, soprattutto in caso di operazioni di attacco al suolo. 

Se è vero che i droni hanno migliorato alcuni aspetti della guerra aerea, lo è anche il fatto che questi velivoli risultano ancora abbastanza vulnerabili alla contraerea. Lo si può spiegare se si introduce nel nostro discorso la variabilità della quota di volo, che va ad influire necessariamente sulla precisione e l’efficacia delle prestazioni del mezzo. 

Non deve dunque stupire il fatto che Israele sia riuscito ad abbattere gran parte dei droni lanciati contro il suo territorio. Una reazione del genere appare più impostata per ottenere evidenza mediatica e non certamente a provocare danni effettivi sul territorio. Se poi si aggiunge il fatto che la reazione fosse stata sostanzialmente preannunciata, addirittura con l’ipotesi che Teheran abbia concordato le modalità con Israele che “non conferma né smentisce”, ecco che si spiega l’utilizzo dei droni in formazione di sciame. 

Un mezzo assai innovativo e performante, ma che da solo non rappresenta una rivoluzione in senso intrinsecamente militare. La reazione iraniana diverrà sicuramente un caso di studio interessante, soprattutto per segnalare come i droni possano divenire strumento per la guerra ibrida e psicologica. 

Potenze identitarie

La nostra analisi non può però fermarsi al mero interesse per i droni e per i loro effetti; dato che lo scenario di fondo riguarda la perdurante rivalità tra Israele e Iran. Una rivalità che è innanzitutto culturale ed identitaria, e che affonda le proprie radici in tradizioni molto antiche e trascendenti gli accadimenti contemporanei. 

Sia Israele sia l’Iran traggono molta energia per le loro narrazioni, che vanno ad alimentare le rispettive guerre di informazione, da veri e propri motori identitari ancorati nel loro passato storico-culturale. 

Nel Talmud, fonte fondamentale dell’Ebraismo, si legge che dei quattro saggi a cui fu concesso di visitare il Paradiso solo Rabbì Achivà fece ritorno. Egli riconobbe Bar Kokhbà come salvatore, anche se aveva causato la sconfitta del popolo ebraico guidando la rivolta contro i romani. Lo fece per catalizzare la reazione divina a causa dell’annichilimento del popolo eletto. Così come egli, per salvare Israele, decise di sfidare Dio; così oggi la reazione asimmetrica messa in atto da Tsahal si nutre di un esempio di potenza intima. 

Allo stesso modo la Repubblica Islamica dell’Iran non può non subire i ritorni di influenza culturale che provengono dal passato zoroastriano e persiano. Quella che si manifesta nei gioielli raffiguranti l’emblema del fato mazdeo o nella volontà di celebrare l’ingresso di Ciro il Grande sul sagrato di Pasargade è una nostalgia di natura imperiale. La stessa nostalgia che impedisce ai manifestanti interni all’Iran di far breccia, perché alla Repubblica Islamica si riconosce ora più che mai la capacità di concretizzare una proiezione di potenza utile a scardinare una posizione geostrategica scomoda; poiché relegata nei confini euroasiatici e in uno spazio di mare non soddisfacente che causa soffocamento. 

Islam diviso e Medio Oriente 

C’è una divisione, che potrebbe anche assumere i contorni di una frattura, all’interno dell’Islam. Durante l’attacco iraniano operato coi droni alcuni paesi sunniti, tra cui Giordania ed Arabia Saudita, hanno contribuito all’abbattimento dei velivoli nei propri spazi aerei; peraltro dichiarando pubblicamente. Riscontri discordanti dalla lettura di apparente ostilità verso gli Stati Uniti, ai quali non era stato concesso di usare lo spazio aereo dei Paesi arabi per agire a sostegno di Israele. Si tratta di un ottimo segnale per sperare nella ripresa del cammino verso la normalizzazione dei rapporti, soprattutto tra Israele e Arabia Saudita. Un cammino che però rischia di stressare le onde di incomprensione che crescono nell’opinione pubblica araba, e che vengono capeggiate dall’Iran in qualità di nazione-guida dello Sciismo. 

Nel quadro di questa frattura più o meno velata si nota l’obiettivo iraniano di sconvolgere il panorama mediorientale per impedire a Riad e agli altri Paesi arabi di avvicinarsi all’Occidente e di trovare una sintesi con Israele; consolidando così quel soffocamento dal quale Teheran cerca disperatamente di uscire. 

Sarebbe sbagliato credere al racconto di un Iran potente e pronto ad incendiare i maggiori teatri di crisi in maniera irreversibile. In realtà l’aggressività iraniana deriva dalla disperazione, a sua volta scatenata dalla consapevolezza di dover fermare convergenze assolutamente inammissibili a livello strategico. Per questo Teheran preferisce agire con le guerre di procura; dunque sfruttando una galassia di formazioni irregolari e ribelli pronte ad attivarsi, o a farsi strumento, in funzione di manovre ed obiettivi puramente regionali concepiti dai circoli iraniani. 

Se in Israele si chiedono fino a dove Teheran sarebbe disposta a spingersi, al di là dei monti Zagros serpeggia la speranza che la dimostrazione di forza sia stata sufficiente a reprimere ulteriori afflati offensivi. Forse Israele cambierà la propria strategia, incrementando le attività di intelligence a discapito di altre azioni aggressive, oppure prenderà tempo in attesa di un momento ottimale per restituire il colpo. Quello che è certo è che qui, come sempre, non si tratta di avere ragione o torto. Dopo l’operazione iraniana si sono chiariti una volta per tutte gli schieramenti in campo, anche se non tutti i partecipanti al dibattito pubblico riusciranno ad accorgersene. 

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