Verba manent: candidare Ilaria Salis non è una scelta giusta

Il caso di Ilaria Salis, malgrado il clamore e le sollecitazioni politiche, sembra non essersi risolto. È stata condotta nuovamente in catene nell’aula di tribunale; il governo ha accennato un flebile approccio risolutivo con Budapest, poi è intervenuto finanche il presidente Mattarella. Ma un nulla di fatto: in Ungheria funziona così, ti negano i diritti finché non provano che tu hai leso quelli altrui. Non è propriamente un modello di democrazia, ma questa non è una novità. 

Il fatto nuovo, invece, riguarda un retroscena politico che la vicenda potrebbe assumere. Politicizzata ai massimi, la faccenda Salis è stata strumento di dialettica politica molto accesa nelle ultime settimane. In particolare, il PD ha cavalcato l’onda dei fatti – a nostro giudizio insindacabilmente deplorevoli – per avere un ritorno di consenso. È notizia recente che la segreteria del Nazareno stia trattando per candidare Ilaria Salis alle prossime europee nella circoscrizione “Isole”. Così avrebbe l’immunità, ma solo dopo la proclamazione (quindi i tempi non sarebbero poi così brevi). Pare che Elly Schlein sia in contatto col padre di Ilaria, il quale, secondo Il Foglio, si sarebbe lamentato di come la notizia sia finita in balia delle correnti interne al partito, convinta che una sua eventuale candidatura possa dare credito ai dem. 

Col beneficio del dubbio circa la reale fattibilità di questa operazione, rimane una domanda di fondo: visto che il tema Salis è umanitario e giuridico, molto meno politico, è bene radicalizzare un tema di portata così generale? A prescindere dalle idee della Salis, che non brilleranno per nazionalismo conservatore, non è forse sbagliato rendere esplicitamente partitico un aspetto che, invece, interessa e accomuna tutti? Anche perché, sebbene non ai livelli dell’Ungheria, altresì l’Italia non gode di eccellenti valutazioni circa il sistema penitenziario, tra sovraffollamento, scandali e suicidi di detenuti. I diritti umani, che devono essere riconosciuti a un imputato quanto anche a un condannato, interessano un aspetto trasversale che la politica deve attenzionare ma senza usare il pennarello: senza, cioè, colorare secondo le proprie bandiere caso per caso. 

Quando si seppe che Ilaria Salis era stata trasportata in ceppi in tribunale, quando fuoriuscirono dai confini ungheresi le confessioni che lei fece circa il suo stato detentivo, tutti avrebbero dovuto sposare la causa. Senza pensare alle idee di lei, senza nemmeno guardare cosa l’accusa ritenga abbia fatto (si parla peraltro di una brevissima prognosi causata a uno dei militanti colpiti), chiunque avrebbe dovuto difendere non Ilaria in sé, bensì lo stato di diritto, dove viviamo e dove dobbiamo pretendere che vivano – ovunque – i nostri connazionali. 

Sottili differenze tra la politica di mestiere e quella, nobile, intensa in senso etimologico. Il bene della città, lo sviluppo dello Stato. 

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