Roma, all’IILA Andrea Cote presenta “La rovina che nomino”, un flusso emotivo che declina la parola poetica in una scrittura della privazione e della sottrazione

Si è tenuta mercoledì 6 marzo la presentazione del libro “La rovina che nomino” presso la Biblioteca dell’IILA – Istituto Italo Latino Americano, in collaborazione con l’Ambasciata di Colombia in Italia.

Andrea Cote, autrice dell’opera, è una poetessa e professoressa di scrittura creativa all‘Università El paso in Texas, con un’innata vocazione poetica che confluisce nelle tante pubblicazioni, tra le quali Puerto calcinado (2003), En las praderas del fin del mundo (2019), oltre ai libri in prosa come Una fotógrafa al desnudo: biografia de Tina Modotti (2005) o Chinatown a roda hora (2017).

Durante l’incontro, tenutosi in occasione del mese dedicato alla poesia, il traduttore Alessio Brandolini, che da anni anima e gestisce la casa editrice Fili d’Aquilone, ha illustrato il suo prolifico lavoro di editore ma anche di traduttore, molto attento nel mantenere lo stesso campo semantico iniziale delle parole maturate dalla vena poetica di una scrittrice dotata anche di un talento performativo notevole, che mescola la scritture con il dolore e la solitudine.

Il linguaggio poetico – che celebra i sentimenti umani dell’assenza – dona corpo e anima al deserto e al disabitato che si esplica in immagini come un vecchio castello o una casa familiare. Le presenze umane, che si affacciano principalmente verso l’ultima sezione del libro, incarnano la rovina non solo degli oggetti materiali scalfiti dal trascorrere inesorabile del tempo, ma anche delle essenze umane e del dios de los templos, che attraversano questa terra, in una danza che unisce perdita e ritrovamento. La scrittura, infatti, diventa il fil rouge di un deterioramento e di una conseguente unione delle cose più vulnerabili.

Si tratta di una poesia che celebra la fragilità, che scende nelle profondità dell’anima e ne afferra la rovina, oscillando tra tempo passato e presente, per rinascere e rintracciare la bellezza che si cela nell’oblio e nella perdita.

Il libro “La rovina che nomino” – il cui titolo deriva da una delle poesie contenute al suo interno –  si lega al filone della rovina, in un flusso emotivo che declina la parola poetica in una scrittura della privazione e della sottrazione.

In questo scenario di assenza, di perdita e di crollo emerge una poesia del dolore, dello scorrere del tempo e della fuggevolezza della vita, che il “fuego” delle parole di Andrea Cote cerca di celebrare e abbracciare, cogliendo l’essenza della rovina delle cose più fragili e umane.

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