Testo: Durante la costruzione di Josef K

A un anno da Proust fa TESTO, alla terza edizione della fiera del libro fiorentina, torna Alessandro Piperno; stavolta in qualità di copilota del germanista e traduttore Luca Crescenzi. Insieme, il dinamico duo, racconta l’inizio di una grande avventura letteraria: una nuova edizione dei Meridiani Mondadori dedicata a Franz Kafka, “uno dei tre, quattro più grandi scrittori del secolo scorso”.

Non si tratta di un’impresa facile, complice il fatto che lo scrittore boemo è probabilmente uno dei più idolatrati di sempre. Già con Marcel Proust, Piperno aveva tratteggiato i lineamenti del proustiano doc – la snobberia come tratto di personalità, misurata in cicli di rilettura della Recherche –, che però sembra nulla in confronto al “ripugnante kafkologo”: esegeta di un Kafka mistico, profeta, portatore di verità rivelate e nascoste nelle pieghe della sua eccelsa produzione letteraria. Niente di più falso (e fastidioso). La mistificazione del Kafka autore e la sua reincarnazione in vitello d’oro sono un effetto collaterale della generosità di Max Brod: anziché assecondare le ultime volontà dell’amico e consegnarne il lavoro alle fiamme, pubblica tutto postumo.

Questa “opera di bene” è narrata magistralmente ne I testamenti traditi, saggio-romanzo di Milan Kundera – nelle parole di Crescenzi, “certamente il più grande lettore di Kafka” – di cui i due professori si servono per spiegare la ricezione distorta dei lavori kafkiani. Perché, in effetti, per quanto senza un Brod (forse) non avremmo avuto un Kafka, costruire un mito per vendere i capolavori di uno sconosciuto fa tanto operazione di marketing; peraltro, poco in linea con la franchezza di un “giocoliere di generi letterari” che, spesso e volentieri, si fa beffe del lettore. Ma dimentichiamo il “testamento tradito” e, per un momento, ipotizziamo che il fine giustifichi i mezzi: per aver allargato gli orizzonti della cultura umana, Max Brod è stato (come il diavolo di Bulgakov) esecutore del bene.

E il bene, stavolta dell’autore, non del mito, è ciò che si prefigge il Meridiano in progress curato da Crescenzi e Piperno. Al di là di ogni interpretazione, l’opera kafkiana è, prima di tutto, letteratura della miglior specie – al punto da essere sconsigliabile agli scrittori in erba: “Troppo genio, troppa qualità concentrata” scrive in merito Vanni Santoni, ne La scrittura non si insegna. È la creazione di un maestro del possibile che scrive con la stessa spontaneità con cui si sogna; anzi, come se la realtà stessa di cui narra fosse sottoposta a quei princìpi onirici freudiani (condensazione, spostamento, rappresentazione plastica… e l’elaborazione secondaria sta al lettore) che tanto lo hanno affascinato: “Non ci sono ‘come se’ – afferma Crescenzi –, non ci sono ‘allegorie’ in Kafka: quelle rare volte in cui utilizza un’allegoria lo fa volutamente mentendo”.

Insomma, è un “pasticcione allegorico” per nulla interessato a fare monumenti delle proprie creazioni. Al contrario, la sua scrittura è “anti-allegoria”: la negazione di una via regia per la comprensione della realtà. Perché, da vero “illuminista radicale” – prosegue il docente dell’Università di Trento –, Kafka sa che “qualsiasi strumento (il sogno, la fantasia, l’irrazionale puro, la trasformazione improvvisa e incongrua, gli esseri ibridi) serve a capire cose che, altrimenti, non si capirebbero”. A tal proposito, è esemplificativo Durante la costruzione della Muraglia Cinese. Il racconto si presenta come la cronaca di un muratore che ha partecipato alla grande impresa architettonica del Paese di Mezzo; e qui l’autore “distrugge il nostro concetto di storia”, intesa come raccolta di fatti obiettivi e coerenti, e ne restituisce, invece, una versione molto più attuale e autentica: considera la soggettività dello storico come elemento che altera la storia stessa – trovata degna della rivoluzione storiografica di Marc Bloch, uno degli eroi di Alessandro Barbero.

Una simile destrezza con la penna non ha bisogno di nessuna esegesi. Ne è convinto anche Piperno, da sempre allergico ai vari “l’autore vuole dire”; è piuttosto un credente nella “letteratura che basta a sé stessa”, di chi ama scrivere per scrivere (nessuna pedagogia, nessuna verità aforistica, nessuna dietrologia); grafofilia che, almeno per Kafka, si incarna in Gustave Flaubert, “l’idiota della famiglia”, paziente zero di quel bovarismo che farà la storia delle lettere moderne. Anche per tale ragione, il nuovo Meridiano per l’alter ego di Josef K. sarà empirico, “non guidato da fantasie massimaliste”, incentrato sull’evoluzione dell’uomo-scrittore: ecco perché inizierà dai Diari.

I Diari o, come li definisce Luca Crescenzi, i “quaderni di brutta”, quelli in cui c’erano abbozzi di racconti, di saggi, di tutto ciò che Kafka avrebbe voluto scrivere. E quale miglior modo di introdurre alla sua produzione letteraria se non attraverso questa fucina? Perché è là, nei Diari, che si vede l’artista emergere, la “vocazione che si sta formando”. Così pure nelle Lettere, da sempre fraintese e considerate la tormentata corrispondenza con Felice Bauer, la fidanzata “storica”. Ma le Lettere – le settecento lettere che Felice porterà con sé malgrado l’incedere del nazionalsocialismo e la fuga in America – sono molto di più per l’allora aspirante scrittore: “Kafka vuole vedere se può farsi amare semplicemente scrivendo – dice Crescenzi –: se seduce Felice Bauer, può sedurre chiunque”. Il resto è storia…

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