Paolo Borsellino, un uomo lasciato solo dallo Stato

Il 19 luglio, si ricorda come ogni anno la tragica uccisione del procuratore Paolo Borsellino e della sua scorta, avvenuta nel 1992 a Palermo in Via D’Amelio. Tale data viene ricordata insieme a quella del 23 maggio 1992 (data dell’uccisione del collega e amico Giovanni Falcone) come simbolo alla lotta contro le mafie.

Pochi giorni prima delle celebrazioni del ventisettesimo anniversario dalla scomparsa del giudice, l’attuale commissione Antimafia guidata da Nicola Morra ha attuato la liberazione del segreto posto su alcune audizioni e frammenti audio del giudice avvenuti dall’anno 1984 all’anno 1992. Nel primo frammento audio del 1984, lo stesso Borsellino denunciava insieme al giudice istruttore dell’epoca Giovanni Falcone, la presenza, in una stanza degli uffici del palazzo di giustizia di Palermo, di un computer marca Honeywell, rendendo noto che avvalendosi dell’utilizzo di un tale oggetto avrebbero accelerato i tempi di trascrizione delle documentazioni di quello che sarebbe diventato, due anni più tardi, uno dei processi più importanti per la storia della magistratura italiana, vale a dire il “maxiprocesso” del quale Falcone e Borsellino, insieme al giudice Rocco Chinnici, furono i pionieri attuando il famosissimo pool antimafia, ovvero un gruppo composto da cinque magistrati in grado di lavorare contemporaneamente su più casi.

Dopo aver sottolineato alla commissione la presenza di tale computer ancora in attesa di collaudo da parte dei tecnici, la denuncia del magistrato si sposta sulla mancata assegnazione agli uffici di personale amministrativo ( cancellieri, verbalizzanti, ecc.) e sulla carenza riguardante agenti di scorta e autovetture blindate, rendendo noto ai parlamentari, la presenza di una sola vettura blindata presso il palazzo di giustizia utilizzata per scortare tutti e cinque i componenti del Pool.

Successivamente Borsellino racconterà che al mattino dopo “ripetuti strombazzamenti di sirena” i magistrati venivano accompagnati in ufficio per poi godere del servizio di scorta fino all’ora di pranzo, momento della giornata in cui gli agenti riaccompagnavano a casa i magistrati lasciandoli nella loro “libertà”, tale parola innesca una battuta da parte di un parlamentare della commisione che riferendosi a Borsellino dirà: “allora lei può riavere la sua libertà”… Sempre con tono sarcastico e ironico Borsellino risponderà dicendo: “la libertà magari posso acquistarla uscendo con la mia macchina, si, ma non vedo a cosa serve far perdere la libertà ad un uomo di mattina, per poi essere libero di essere ucciso la sera”.
In questi frammenti si evince la totale solitudine e incomprensione nella quale i magistrati erano costretti a lavorare, ostacolati da tutto e da tutti.

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