A pochi giorni da Fuoricampo, il festival sul giornalismo lento firmato Lo Spiegone, riprendo i miei appunti su un precedente incontro con la realtà nata “sul pratino di Scienze Politiche” della Sapienza. Si tratta della presentazione del saggio La nuova era di Xi Jinping. Assertività e contraddizioni della politica estera cinese, in occasione della quale ho potuto dialogare con le sue due curatrici: Veronica Barfucci e Lorenza Scaldaferri.
Sabato 7 ottobre, nella prima delle due giornate di Fuoricampo, Lorenza mi rivela che, vista la velocità dei mutamenti nel panorama internazionale, alcune parti del volumetto Edifir potevano considerarsi superate già al momento della pubblicazione. Del resto, una narrazione è un po’ come una stella: sebbene illumini il nostro presente, la sua luce è già un ricordo.
Allora ha senso tornare sulla vecchia intervista di un libro obsoleto?
Forse sì, se può ancora illuminare il nostro presente. D’altronde, stare al passo con l’attualità sembra una gara in cui si arriva sempre troppo tardi, ma non è senza speranza—non del tutto, almeno—provare a dialogare con la storia, anche recente, in nome dell’approccio analitico di chi “non vede l’ora di rallentare”. E a proposito di approccio analitico, ma di tutt’altra specie, mi viene in aiuto una suggestione che Carl Gustav Jung scriveva nel 1934, nel suo saggio Il divenire della personalità:
“Le immani catastrofi che ci minacciano non sono eventi naturali di carattere fisico о biologico, ma eventi psichici. Siamo spaventosamente minacciati da guerre e rivoluzioni, che altro non sono se non epidemie psichiche. In qualsiasi momento alcuni milioni di persone possono essere colti da una nuova follia, e allora avremo un’altra guerra mondiale о una catastrofica rivoluzione.”
Parole in cui emerge forte e chiara la consapevolezza di quanto “una nuova follia”, su scala globale, possa influenzare il corso degli eventi. Eppure, la cosiddetta follia è spesso definita tale solo a posteriori, quando la Storia decreta vincitori e vinti. Ma la Storia di chi? Forse ci sono più storie, con la minuscola, per cui queste follie collettive non sono altro che sogni, alle volte grandiosi o innocui… altre, veri e propri incubi.
I sogni, eventi psichici spontanei, sembrano stare al di là della volontà individuale, della coscienza e della ragione. Sembrano venire sempre da un’altra parte, aleatori e necessari, e spesso hanno la parvenza di una follia. Ma soltanto la parvenza, perché non lo sono affatto. Al contrario, sono gli araldi di quella “realtà inconscia, che sta lì dura e pesante come il granito, immota e inaccessibile, e che in qualsiasi momento può abbattersi su di noi, ubbidendo a leggi ignote”, scriveva sempre Jung. Una realtà che non è né buona né cattiva, né giusta né ingiusta, né vera né folle: è… e basta. Ma i sogni di cui siamo testimoni, più che artefici, sono anche sogni di popoli. Il sogno americano, per esempio, è il sogno di autorealizzazione per eccellenza—di essere e diventare chiunque si voglia.
E per gli altri? Loro che ne pensano di questo sogno? Non sarà mica “una nuova follia”…
Prendiamone un altro allora: “Il sogno cinese non è il sogno americano, va contestualizzato in una repubblica popolare dove è importante l’interesse collettivo, l’interesse della nazione”. E dopo Scaldaferri, Barfucci aggiunge, “c’è una diversa politica estera: no egemonia, no watchdogs. Il multilateralismo cinese, retorica o no, è slegato dall’idea di mantenimento dell’ordine”.
Ordine e volontà sono spesso associati alla ragione. Dopotutto, ci vuole un razionale per fare ordine. E la ragione è la spada del condottiero occidentale, l’uomo di genio che con la sua mente quadrata è capace di imbrigliare il caos e portare giustizia agli ingiusti e luce nelle tenebre. Ma il sogno cinese è davvero libero dalla smania di indurre il mondo a girare nel verso giusto? Oppure Xi Jinping è l’uomo della provvidenza che “farà la Cina di nuovo grande”? Forse, spostare il vertice d’osservazione dal piano individuale a quello collettivo potrebbe stimolare alcune risposte.
Seguendo il solco tracciato da Jung, personale e collettivo potrebbero essere poli complementari della psiche. In tal senso, i sogni americano e cinese apparirebbero come visioni alternative dello stesso rapporto reciproco. Nel primo sogno, sarebbe il polo personale a prevalere: il superuomo è l’eroe che incarna la volontà di una nazione e la massa non può che seguirlo nella sua impresa di civiltà. Per il sogno cinese, invece, le cose sembrano stare diversamente.
Lorenza mi guida nella comprensione portando l’esempio del suo oggetto di ricerca accademica. Si tratta di WeChat, “la super app che centralizza l’informazione, usata per la messaggistica, pagare le bollette, leggere le notizie.” Un ponte fra popolo e Partito, che non farà di Xi un Napoleone, ma non per questo lo renderà meno invasivo. Si tratta di spostare l’attenzione sulla collettività, dove l’eroe non è il condottiero che trascina la folla, ma chi sa cavalcare l’onda del sentimento popolare. Una verità che il capolavoro di Tolstoj, Guerra e pace, racconta magistralmente:
[…] finché il mare della storia è tranquillo, chi dirige la fragile scialuppa tenendosi attaccato con un gancio alla nave del popolo, e in tal modo si muove anche lui, debba avere l’impressione che siano i suoi sforzi a far muovere la nave a cui è attaccato. Ma basta che si levi la burrasca, che il mare si agiti e che la nave proceda più veloce, perché subito l’errore divenga impossibile. La nave procede col suo movimento autonomo e possente, il gancio non arriva più alla nave, e chi governa la scialuppa passa improvvisamente dal ruolo di dominatore, di fonte di forza, a quello di un insignificante, inutile e debole uomo.
Tuttavia, spostandoci dall’altra parte del globo, sembra esserci un invariante nel rapporto fra individualismo e collettivismo: il controllo. Sempre Lorenza ricorda la riforma universitaria in Cina, con la costituzione di classi di marxismo: un chiaro esempio di come il Partito non si accontenti solo di cavalcare l’onda, ma anche di alimentarla. Il controllo, allora, non appare più come l’esigenza tutta occidentale di votarsi a un principio ordinatore. Come in una trasformazione geometrica, lo ritroviamo anche all’altro capo della Via della seta, stavolta sottoforma di sharp power (potere mirato). Ma il suo fondamento non è più un supposto ordine mondiale: è l’armonia:
Prima che uno stato d’animo di piacere o di rabbia, di dolore o di gioia venga rilasciato, la mente è in uno stato di equilibrio. Quando questi sentimenti sono stati rilasciati in giusto grado, sono in uno stato di armonia. Questo equilibrio è la grande base di tutte le attività umane e questa armonia è la via universale che tutti devono perseguire. Dobbiamo dedicarci a raggiungere questo stato di equilibrio e armonia e a stabilire il giusto ordine fra Cielo e Terra. Allora tutte le cose saranno nutrite e fioriranno.
Sono parole di Confucio che ho trovato in The Complete I Ching. 10th Anniversary Edition, l’edizione dell’omonimo testo oracolare cinese curata dal maestro Alfred Huang. E non stupisce che un taoista ricorra ai Dialoghi di Confucio per approfondire uno scritto precedente ad ambe le tradizioni filosofiche. Dopotutto, è al confucianesimo che si è votata la Repubblica Popolare Cinese, anche in virtù dell’importanza attribuita al concetto di armonia, “la via universale che tutti devono perseguire”. Insomma, oggi come seicento anni prima di Cristo, lo sforzo collettivo deve votarsi a un mondo in equilibrio. Non ordinato, nel senso dei colonizzatori occidentali, ma cionondimeno in equilibrio—il migliore possibile per il Paese “fra Cielo e Terra”.
E come appare questo equilibrio ai difensori e promotori della libertà? Probabilmente, non libero.
Tuttavia, mi viene in mente un’altra domanda: chi ci dice che debba esserlo?
La deprivazione di libertà ha insegnato a un Occidente affetto dai totalitarismi che lo stato di diritto è il miglior compromesso che ha per restare fedele a sé stesso. Ma per loro non è così. Loro sognano un mondo in cui la libertà ha un’importanza relativa, al cospetto dell’ideale ben più elevato di equilibrio. Per comprendere questo punto di vista, bisogna tenere a mente il peso del fattore culturale. Me lo ricordano Barfucci e Scaldaferri quando affermano che l’Oriente è abituato alle autocrazie interne, mentre a Ovest si indulge nel potere assoluto esclusivamente in un’ottica colonialista. Insomma, due dimensioni parallele che sembrano destinate a sognare sogni diversi, in barba a qualsiasi principio di complementarità. Eppure, la mia simpatia per i mondi possibili della fantascienza mi spinge a formulare un’ultima domanda per le due esperte di Asia de Lo Spiegone:
In un mondo al crepuscolo dell’ordine occidentale, è possibile un’armonia a oriente?
O è solo l’ennesima utopia destinata a mutare nel suo contrario?
Lorenza risponde per prima: “ci sono molte contraddizioni, l’ingranaggio funziona solo se tutti si muovono nella stessa direzione. Popolo e Partito sono disposti a sacrificare chi tradisce la causa affinché chi merita possa andare avanti.” Una posizione che investe tutta l’assertività sul collettivo, al costo di creare non poche contraddizioni per l’individuo. E Veronica completa la riflessione dicendo che “noi occidentali immaginiamo un approccio manicheo, tipo lavaggio del cervello. Non è così: esiste un dissenso, anche se fatica a emergere.” Ma conciliare gli opposti non è mai stata la specialità della coscienza dei Lumi, per la quale resta un compito arduo legittimare un dialogo fra democrazie e autocrazie—dialogo inevitabile, in un mondo sempre più globalizzato.
Del resto, dialogo o no, l’incontro-scontro fra sogno d’Oriente e sogno d’Occidente sembra giocarsi sul piano della narrazione. Se a Ovest viene deprecata qualsiasi azione contraria ai princìpi dello stato di diritto, a Est si racconta un’altra storia. Come ricorda Barfucci, la Cina auspica “un sistema internazionale in cui anche i sistemi autoritari possano essere accettati.” Tuttavia, afferma che “nella politica interna l’armonia può essere anche forzata. Quando poi ciò viene a galla, come abbiamo visto con le proteste a Shanghai, sembra tutto un po’ meno armonioso.”
In conclusione, non siamo per nulla vicini a una coesistenza pacifica dei due sogni. Al contrario, oggi abbiamo sotto gli occhi due drammatici esempi di compromessi falliti—i sintomi delle nostre epidemie psichiche: i conflitti russo-ucraino e israelo-palestinese. Ed è proprio là, a ridosso della faglia collettiva mediorientale, che si manifesta tutta l’instabilità di due visioni del mondo che non si rassegnano all’altrui ordine o armonia, che dir si voglia. Due visioni che non potranno dialogare finché saranno affette dallo stesso male che domina il mondo fin dai tempi delle guerre mondiali e napoleoniche. Lo stesso dell’era dei Cesari e del Periodo delle primavere e degli autunni. L’Avversario di fronte al quale tutti i sogni non possono che diventare lo stesso incubo: il potere.