Se vivete sulla Prenestina, da qualche anno avete a disposizione una valida alternativa al tradizionale trittico di tram 5/14/19: la metro C. Gli ingenui avranno fatto salti di gioia, esultando per la fine delle sudaticce corse mattutine sul tram venuto dagli anni ’30, soggetto ad imprevisti (e limitazioni a Porta Maggiore) di ogni genere. Eppure, non è tutto oro (ops, ferraglia) quel che luccica.
Negli anni ’90, complice l’ottimismo residuo delle ultime vacche ingrassate, a qualcuno venne in mente che non si poteva attendere il glorioso giubileo del 2000 senza mettere in cantiere (e, possibilmente, ultimare) una terza linea metropolitana nella città di Roma.
Gli ottimisti furono costretti a rimanere delusi: nel 2000 successero molte cose grandiose, ma tra queste non ci fu l’apertura della terza linea metropolitana.
Al termine di indagini archeologiche infinite, nel 2007 si aprì l’enorme cantiere Pantano-San Giovanni. Solo nel 2014 la linea venne aperta al pubblico. Risultato: 25 anni (anno più anno meno) per ottenere una linea metro funzionante, ma scollegata (sic!) dalle altre due. Per gli amici non romani, questo significa, sostanzialmente, che se un poveretto di Borghesiana voleva arrivare a San Giovanni, nel 2014, certamente prendere la metro C non era ancora l’idea migliore possibile, perché la tratta si fermava ben sette fermate prima, a Parco di Centocelle.
Lo scorso giugno, il nostro ipotetico amico di Borghesiana è stato finalmente accontentato: fermata dopo fermata, i pendolari e i residenti romani si sono guadagnati il diritto di arrivare a San Giovanni tramite metro C e, insieme, l’ambita coincidenza con la metro A. Virginia Raggi è intervenuta con tanto di banda e coro al seguito e, pare, senza cadere da nessuna parte.
Tutto bene quel che finisce bene? Non esattamente, perché la nostra metro C è un affare che ha fatto scoppiare un’inchiesta-bomba per 25 persone; perché la frequenza dei treni è di uno ogni 12 minuti (di fatto, più o meno la stessa dei tram a Porta Maggiore); perché un treno ogni 12 minuti non basta a trasportare l’oceano di romani che ha iniziato a usare la linea di più, più spesso e anche più volentieri, dato che porta dritto dritto verso la metro A; perché di notte ogni tanto, scendendo a qualche fermata dispersa nel nulla casilino, nasce spontaneo il timore di finire derubati o ammazzati; perché se c’è un guasto tutto si ferma (e può succedere di vedere invertito il senso di marcia); perché i romani non sanno ancora uscire ordinatamente in una situazione di emergenza; perché quando ci sono le bombe d’acqua, uscendo dalle stazioni sotterranee, ci si sente molto Rose Dawson in Titanic.
Eppure…
Eppure, ne è valsa la pena. Ci sono dei pro che non si possono non considerare.
Questa linea termina, attualmente, in una stazione-museo: San Giovanni è un contatto quotidiano con la bellezza e con la storia. La linea del tempo che ricopre le pareti, inoltre, è qualcosa di più di un contatto con la storia: è quasi un ripasso coatto (che male non fa).
La linea C non ha conducenti che si possano distrarre, perché è automatica; inoltre, è dotata di un sistema di porte di massima sicurezza che impediscono a chiunque di suicidarsi sui binari. Il turista ha una scelta di alloggio più ampia, se può utilizzare San Giovanni come punto di incontro con la linea A, e questo apre prospettive occupazionali interessanti per chi dispone di immobili lungo il tracciato della linea.
La metro C collega in maniera diretta la periferia e il centro, con tutte le implicazioni sociali che questo collegamento porta con sé: se raggiungere il centro è più semplice, il quindicenne figlio di un pantanese potrebbe essere maggiormente invogliato ad andare a visitare la basilica di San Giovanni, ipoteticamente. D’altronde, non dovrebbe più andare a prendere il treno a Colonna, per arrivare a Termini e prendere la metro A. Ha un collegamento diretto a disposizione, alle porte di casa sua… può persino scegliere la scuola più liberamente, orientare la scelta sugli istituti del centro, se lo desidera. Può sperare di entrare allo Ied, da grande, e raggiungerlo senza alzarsi alle 5 di mattina. Può innamorarsi di una ragazza che vive a piazza Roberto Malatesta e andare a trovarla. Potrà andare in discoteca e tornare in metro, e anche bersi un paio di bicchieri, se vuole, perché non avrà bisogno di guidare.
La linea C è una linea estremamente democratica, un ascensore sociale della domenica, se vogliamo; se preferite, un monito che ci ricorda che non c’è alcun tipo di integrazione senza una mobilità agevole, oppure un primo passo per trasformare concretamente interi quartieri periferici in un pezzo di città metropolitana.