Durante la prima del teatro alla Scala, sono andate in scena ben due rappresentazioni: il “Don Carlo” di Verdi e la sceneggiata dell’Italia antifascista. Uno spettacolino discutibile, il coro gridato da un signore in sala subito dopo l’inno di Mameli. Con quale fine? Perché?
Rimangono domande aperte, soprattutto se si considera il contesto in cui “viva l’Italia antifascista” è stato urlato. Un evento formale, ormai intriso di istituzionalismo quasi più che di opera, non promuove personalismi come quelli del signor Vizzardelli, partigiano del nuovo millennio. In primo luogo si tratta di un coro lapalissiano: il fascismo è finito, i partiti sono allineati nel contesto democratico e parlamentare del Paese, la Costituzione nasce sulle ceneri del regime, il Presidente della Repubblica ne è garante – lo ammettiamo, siamo stanchi di dover ribadire certi concetti. Ripeterlo, in sala, non aveva senso. Forse si voleva attaccare Ignazio La Russa, seduto accanto a Liliana Segre? Siamo certi che il presidente del Senato, che è un uomo di politica e andrebbe avversato nei contesti leali e opportuni, abbia dormito sonni serenissimi nella notte successiva. Non sono certamente cori da curva ad attaccarlo; se abbia, poi, degli scheletri nell’armadio, il giudizio va rimesso agli elettori.
Se volessimo allargare lo spazio di riflessione, uscendo dalla Scala, potremmo ben dubitare della mentalità che cova nella politica e nella società del nostro Paese. A eccezione di casi estremi, in cui l’ordine democratico dell’Italia sia concretamente messo a repentaglio da moti nostalgici, e tale caso non si è mai verificato, è totalmente inutile strumentalizzare il passato. L’Italia è stata fascista e il regime ha nuociuto al Paese? Certamente sì. Ma ha anche messo da parte, negli anni, l’esperienza del Ventennio. Non ha futuro uno Stato che rimane ancorato a dibattiti vetusti, a-temporali, per nulla lungimiranti. Provocazione: perché non discutere di intelligenza artificiale, di digitalizzazione, di impresa e concretamente di ecologismo sostenibile? Mentre noi restiamo avvinghiati al “tu eri fascista; oggi sei nostalgico”, fossilizziamo la discussione politica su fascisti e antifascisti, gli altri competitor volano.
Troppo poco spesso ci chiediamo realmente perché siamo un Paese arretrato sotto molti aspetti. Sicuramente non è colpa degli aitanti antifascisti, ma c’è una mentalità diffusa che appare troppo semplicistica e poco lungimirante. Deponete l’ascia di guerra; avreste dovuto farlo già nel 1948. Impugnate, invece, le armi del progresso e guardatevi intorno, domandandovi: come può il nostro Paese raggiungere modelli di sviluppo che altri hanno abbracciato da prima?