Leviatano è uno spettacolo teatrale tratto da un caso di cronaca risalente al 1995, quando McArthur Wheeler, un uomo di 44 anni, viene riconosciuto colpevole di rapina aggravata ai danni di due banche.
In quest’intervista gli attori in scena – Giulio Forges Davanzati, Alessia Sorbello e Andrea Trovato – svelano la magia teatrale, che viaggia come un fil rouge tra palco e platea. Il linguaggio emotivamente coinvolgente e la singolare cifra registica di Marco Di Stefano si uniscono in una mise en scène che cavalca l’onda del pensiero socratico “io so di non sapere”, in un turbinio di emozioni, dubbi, spunti di riflessione che i protagonisti – dei veri e propri performers – restituiscono all’audience, attraverso la loro recitazione camaleontica e il personale supporto musicale.
Leviatano parte dalla storia di cronaca risalente al 1995, pregna di tanti spunti di riflessione. Che approccio avete avuto con questa vicenda?
Giulio: “Il tutto è partito da un’idea dell’autore Riccardo Tabilio, che ha voluto indagare la distanza tra quello che l’uomo sa effettivamente e quello che crede di sapere. Questa storia ha generato una teoria sul processo cognitivo di ognuno di noi, sull’approccio alla conoscenza, per arrivare ad una riflessione di più ampio respiro che, pur affondando le sue radici negli anni Novanta, è ancora attuale.”
Ci sono tanti scambi tra musica e teatro: quanto incide la musica nel trasferimento delle emozioni portate in scena?
Giulio: “La musica è fondamentale. È stata inserita come colonna sonora dall’autore che ripensava ai brani ascoltati negli anni Novanta. Sono parte integrante dell’intera drammaturgia e sono sicuramente un veicolo di emozioni da trasferire al pubblico durante lo spettacolo.”
Leviatano è uno spettacolo coinvolgente a 360 gradi e chiama in causa lo spettatore grazie ad un linguaggio teatrale e ad una scelta registica che pone interrogativi piuttosto che delle risposte. All’inizio vi presentate non come personaggi ma come attori. Come mai questa scelta iniziale? Cosa c’è di vostro nei ruoli che portate in scena?
Andrea: “Il regista e l’autore hanno voluto che fossimo proprio noi a raccontare questa storia. Abbiamo fatto un bellissimo lavoro personale durante le prove, ad esempio abbiamo pensato ai nostri anni Novanta, ai nostri vissuti e, da qui, il regista e la dramaturg hanno inserito dei pezzi di ricordi delle nostre vite personali, che hanno a che fare sia con gli anni Novanta sia con la stupidità.”
Alessia: “L’idea di partenza è insita nella volontà di non giudicare o additare qualcuno come stupido, perché tutti noi abbiamo vissuto e viviamo dei momenti di stupidità nella nostra vita ed è proprio da questo presupposto che è partito l’intero lavoro che ha portato alla realizzazione dello spettacolo.”
Secondo Stanislavskij, l’attore, sul palco, deve provare le stesse identiche emozioni del personaggio interpretato, fino a diventare tutt’uno, immedesimandosi in lui: in termini di costruzione dei vostri personaggi, come riuscite passare da un ruolo all’altro?
Giulio: “Nel momento in cui interpretiamo dei personaggi cerchiamo di dar loro corpo, voce, emozioni partendo da noi e dal nostro vissuto. Penso non sia possibile interpretare nulla di ciò che non si comprende umanamente. È necessario cogliere visceralmente i significati di una storia, in questo caso di una persona che, in un periodo della vita molto difficile, perde qualsiasi tipo di certezza, vede un documentario sull’inchiostro simpatico e compie un gesto estremo contro la società. A partire da un approccio umano, dagli interrogativi evocati da questa vicenda, ognuno di noi è portato a interrogarsi, a riflettere, realizzando così un atto magico anche per il pubblico stesso.”
Alessia: “Come dice Giulio, ognuno di noi riporta la storia alle proprie esperienze e al proprio vissuto e ci fa un ragionamento ma rimane un racconto piuttosto che un attraversamento profondo nel personaggio stesso. Io direi che si tratta di un approccio brechtiano piuttosto che Stanislavskijano perché noi evochiamo la realtà, ad esempio nel mio caso, quando interpreto il personaggio dell’ispettore, c’è un bellissimo gioco – insito nella scrittura dell’autore – che è un continuo rapportarsi con il pubblico e con l’altro personaggio.“
Cosa vi aspettate dal pubblico nelle imminenti date romane? Quale ruolo sociale svolge il teatro per smuovere le coscienze degli spettatori?
Andrea: “Il teatro, in generale, svolge una funzione sociale fondamentale, sia per chi lo guarda sia per chi lo fa, lo studia, lo approfondisce. Alla luce di quello che sta succedendo nel mondo, mi preme sottolineare quanto il teatro sia un’occasione per avvicinare gli esseri umani alla propria umanità. È un momento in cui riflettere su di sé e imparare a conoscersi meglio. Sarebbe necessaria un’educazione al teatro che parta dalla scuola per spronare tutti a cogliere il valore umano insito nell’esperienza teatrale, facendo affidamento a persone qualificate che possano essere importanti figure di riferimento e funzionali a una crescita personale di tutti i cittadini. Testi come quelli di Medea o di Amleto, ad esempio, posso offrire un’occasione di riflessione su come affrontare determinate problematiche umane e fare esperienza umana. Il teatro fa bene e, a volte, può anche salvare delle vite.”
Alessia: “Il teatro deve far riflettere. Leviatano è uno spettacolo che vuole far vivere l’esperienza teatrale in modo collettivo, garantendo la riflessione su una specifica tematica. È fondamentale, dunque, il coinvolgimento in questo spettacolo – che è anche divertente e musicale – per permettere il confronto con gli altri, la condivisione dell’argomento e dei diversi punti vista.“
Giulio: “Io penso che una delle funzioni fondamentali del teatro sia proprio quella di far stare bene le persone: chi assiste ad uno spettacolo a teatro ne esce arricchito interiormente.”