Verba manent: giovani, ricchi e ludopatici

La mitologia del calciatore ricco, mondano e pieno di donne è vecchia retorica. I nuovi Bobo Vieri, che a vent’anni già milionari dovrebbero (giustamente, ma senza eccedere) pensare alle ragazze e alle serate, invece sono dei ludopatici. Sissignore, dimenticatevi la foto di Francesco Totti un po’ truzzo un po’ marpione col bicipite tatuato da un gladiatore, occhiali a specchio e alla guida di una Ferrari; le nuove leve – non tutte, per fortuna – perdono tempo, denaro e carriera appresso alle scommesse. Quelle sul calcio, che sono vietate esplicitamente a coloro che praticano attività professionistica, anche se scommettono su squadre diverse dalla loro. 

La notizia fatta esplodere da Fabrizio Corona, nella lista dei santi depennato ad aeternum, ma con ragione da vendere quando afferma che è un peccato che questi ragazzi passino il loro tempo a scommettere, ha fatto il giro d’Italia, è finita (in parte) perfino sulla Rai dal programma di Nunzia De Girolamo. È stato uno scoop scandaloso, che ha riguardato diversi giocatori di Serie A e che, soprattutto, ha contribuito a fare luce su un problema frequentissimo ma spesso sottovalutato: la ludopatia. Un fenomeno che colpisce almeno un milione e trecentomila italiani, dei quali il 10% sotto cure medico-psicologiche (dati 2022). 

Da un punto di vista medico, preferiamo lasciare l’analisi della ludopatia agli specialisti della materia. Diversamente, da un’ottica sociale, il problema è serissimo. E colpisce ricchi e poveri indistintamente, con una forbice netta che non conosce alcun classismo. Il ragionamento etico si rafforza, tuttavia, quando un giovane di vent’anni con fama, popolarità, tantissimi soldi, carriera avviata o all’apice, decide di buttare via milioni per delle scommesse. Per giunta proibite dalla legge in virtù del suo mestiere. A quale fine? Con quale ebrezza? Per quale ragionevole motivo?

Soltanto una minima percentuale di giovanissimi aspiranti calciatori arriva a realizzare il sogno di competere a livelli altissimi, come quelli della Serie A; e quei pochi fortunati che fanno? Sperperano carriera, notorietà e denaro scommettendo?

Roba da pazzi, direbbero ai bar. Ma non serve scomodare la retorica “del bar sport” per capire che è un circolo vizioso che li trascinerà nell’ombra, nella mediocrità e li farà tornare indietro di 10 anni, quando le loro ambizioni erano tali per cui avrebbero fatto di tutto pur di arrivare dove sono arrivati. 

Poco senso ha prendersela con chi ha tirato fuori la notizia. Ha fatto il suo compito, col suo stile, spesso discutibile, ma l’ha fatto. Hanno sbagliato quei ragazzi a cadere nella inutile trappola del gioco, che più hai fame e più ti accresce l’appetito. 

Di recente, giustamente, abbiamo inserito lo sport in Costituzione, inviando un bel messaggio a tutto il Paese. 

Vogliamo aggiungere ancora qualcos’altro all’art. 33, magari che scommettere sullo sport è diseducativo e dannoso? Non diteci che sarebbe superfluo. Ormai nulla sembra più scontato a tal punto da essere taciuto. 

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