Voi che celebrate Antigone sappiate che Creonte è già morto (e da un pezzo ormai).
Tra molti anni, quando finalmente l’attenzione si sarà spostata da Salvini e dai suoi anni di governo, e il polverone alzato dai fatti di attualità si sarà finalmente sedimentato, penso che noi tutti ci guarderemo indietro e ci accorgeremo di quanto tanti piccoli episodi di questi tempi, come quello della Sea Watch, siano stati determinanti nel passaggio tra la democrazia liberale odierna e qualsiasi cosa verrà domani, in Italia e in Europa. I segnali dell’erosione del sistema liberale come da noi inteso finora ci sono tutti, e perfino alcuni autorevoli esponenti dell’attuale opposizione, come Carlo Calenda, sembrano consapevoli dei rischi a cui stiamo andando incontro, accettando precedenti come quello che abbiamo visto poco fa a Lampedusa.
In effetti, il principio affermato dall’indiscussa vittoria del capitano Carola Rackete sul governo italiano, compreso il suo tragicomico epilogo, è segno della crescente irrilevanza degli Stati liberali di limitata importanza come il nostro, la cui capacità decisionale è ormai minata e privata di ogni portata significativa. Il caso della ONG a Lampedusa è stato significativo di una tendenza che vediamo in diversi settori, dalla legislazione interna all’economia, e che punta a rendere inoffensiva la politica privandola del suo unico reale potere, ossia quello di legiferare e di prendere decisioni. La vittoria della Sea Watch, è inutile nasconderlo, è eclatante: pur non violando il governo italiano alcun diritto fondamentale in questo caso (come stabilito dal mancato accoglimento del ricorso presentato alla Corte di Strasburgo), e pur essendo sotto gli occhi di tutti che non fosse il nostro Paese il porto sicuro più vicino al luogo del salvataggio dei migranti (bensì la Tunisia, Paese che sta implementando una propria normativa sui richiedenti asilo e che recepisce ogni convenzione internazionale sui diritti umani), la posizione espressa dalla capitana Rackete che riteneva il nostro Stato moralmente, ancor prima che legalmente, responsabile per la situazione ha prevalso. E poco importa che proprio l’Italia sia stata richiamata sia dall’UNHCR, l’Agenzia Onu per i rifugiati, sia dalle ONG per il mancato rispetto dei diritti di migranti e richiedenti asilo negli ultimi anni; solo il nostro Paese riesce ad avere al contempo i porti più sicuri del Mediterraneo e le politiche meno atte a tutelare i migranti. Una mirabile contraddizione.
Questa responsabilità morale dell’Italia per qualsiasi cosa avvenga nel Mediterraneo, capace anche di stravolgere il senso e il significato di una legge come il Decreto Sicurezza bis, è alla fine stata riconosciuta anche dal magistrato incaricato di valutare il caso, minando di fatto l’efficacia della legge e l’operato del governo. Ma il fuoco incrociato sull’Italia non è solo dovuto al colore politico dell’attuale Esecutivo, come per alcuni è comodo pensare, ma è anche segno di una fragilità di un Paese schiacciato da un sistema internazionale sempre più anarchico dove noi non riusciamo a trovare una nostra collocazione. Il dramma migrazioni è esemplificativo per comprendere il dilemma: chi è responsabile per la gestione di questa crisi? Quale nazione o quale organizzazione internazionale? Il fenomeno migratorio in realtà, avendo natura globale, è di principio impersonale e poco comprensibile nella sua natura fluida, e ogni tentativo di gestirlo da parte di un solo attore può ricordare lo sforzo fatto dal bambino sulla spiaggia nel racconto di S.Agostino, che continuava a riempire d’acqua il suo secchiello sperando di farvi entrare il mare. Ma anche tentare semplicemente di regolarlo per gli Stati si sta dimostrando impossibile, visto che la loro volontà politica viene scardinata da attori esterni che non vogliono realmente trovare una soluzione, ma semplicemente usare risorse pubbliche per pagare politiche studiate e ideate da loro.
Uno studio americano aveva tempo condotto un’interessante analisi, parlando non tanto di “fenomeni della globalizzazione” isolati l’uno dall’altro, ma di “reti” invisibili che uniscono il nostro mondo: i movimenti delle persone, come quelli di dati, sarebbero solo parte di questa tela invisibile che si tesse ogni giorno nel globo. I Paesi più piccoli e più fragili, come il nostro, non hanno alcuna speranza di poter imporre la propria volontà su questi “flussi”, che sono controllati e indirizzati da attori privati o internazionali che agiscono al di fuori di qualsiasi ordinamento, e trovano la propria legittimità in diritti individuali e prepolitici, quindi superiori a ogni legge (che possono essere il diritto al movimento, al progresso, all’informazione..). Quando un piccolo attore statale, come nel caso dell’Italia sulle migrazioni, prova a far valere in questo sistema la propria legge ne esce travolto, esattamente come la nave della guardia di finanza speronata, ovviamente per una “giusta causa”, dalla capitana Rackete. Al contrario invece, quando una grande potenza democratica come l’India prende decisioni ben più gravi, come quella di espellere dal suo territorio un’intera etnia di rifugiati (è successo pochi mesi fa con i Rohingya), le Nazioni Unite e le ONG rimangono ad osservare, incapaci di imporsi su un governo di quel peso.
Molti commentatori hanno notato come il caso di Lampedusa, nel suo clamore mediarico, abbia certamente irrobustito i consensi della Lega e i gradimenti personali di Matteo Salvini. Quest’analisi è tuttavia superficiale e non coglie il vero dato politico che emerge dalla questione Sea Watch; se anche la Lega infatti diventasse un partito plebiscitario, con il 60% dei consensi, come userebbe questo consenso? Che margini di manovra avrebbe, in altre parole, per poter prendere decisioni in politica estera, in economia, sulla chiusura o apertura dei nostri confini? L’Italia è un Paese con spazi d’azione limitati e sempre più sotto tutela internazionale, in particolare il governo e il Parlamento hanno una funzione sempre più marginale, mentre le decisioni vengono esternalizzate verso altri organi dello Stato o demandate ad istituzioni internazionali. Il principio di buon senso per cui disobbedire ad una legge sbagliata per un motivo giusto apre la strada, in breve tempo, ad una disobbedienza verso una legge giusta per un motivo sbagliato non ci sfiora in questi giorni, ma è ciò a cui stiamo andando incontro.
Da tutto questo arriviamo al timore per l’affermazione di realtà post-liberali in Europa, ossia di sistemi di governi che ricordino la democrazia ma che non ne incarnino lo spirito. Questo è un esito inevitabile, considerando che il potere non conosce vuoti, ed è un fatto che ci porta a pensare che già oggi siano ben più influenti organizzazioni anonime e persone senza volto rispetto ai noti che siamo abituati a vedere in televisione. La reazione uguale e contraria, quella del sovranismo, è tentare di riaffermare in modo quasi totalitario la primazia della politica nazionale verso ogni forma di intrusione, anche nei casi in cui quest’intrusione è legittima e forse anche utile allo stesso interesse nazionale. In tutti e due i casi il sistema viene svuotato dei pesi e contrappesi inventati nell’ ‘800 e modellati dopo la seconda guerra mondiale, aprendo la strada a realtà nuove ed opache. Dietro al polverone del razzismo, dei diritti inalienabli, delle Carole e dei Salvini c’è quindi questo, lo svuotamento del potere dello Stato, affondato anch’esso in mezzo al Mediterraneo tra l’indifferenza generale.
PS Mentre questo articolo viene pubblicato diversi barconi, carichi di migranti, stanno affondando a largo della Libia e vengono soccorsi dalla marina tunisina. Invece di ringraziare il governo legittimo e democratico del Primo Ministro Chahed per quello che sta facendo in questi difficili giorni si preferisce dire che i porti di Tunisi non sono sicuri, per poter dare, ancora una volta, la colpa all’Italia.