La questione del salario minimo si arricchisce di alcuni ulteriori passaggi, che alimenteranno, e non poco, il dibattito politico sul tema.
Infatti, proprio oggi (ndr, ieri per chi legge) il Cnel, sotto la presidenza del Prof. Renato Brunetta, ha approvato il primo documento avente ad oggetto il lavoro povero ed il salario minimo, con il solo voto contrario della CGIL, che nello specifico boccia la previsione del salario minimo, indicando come soluzione invece il rafforzamento e l’adeguamento della contrattazione collettiva.
Al contrario, a sostegno dell’introduzione del salario minimo, seppur non in modo esplicito, è intervenuta la giurisprudenza, più precisamente la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27713/2023, che qualche giorno fa si è espressa sul tema, scatenando in men che non si dica le esultanze di tutte le forze politiche di opposizione, le quali non hanno fatto altro che rilanciare le ragioni al sì dell’introduzione di un salario minimo in Costituzione, a tutela dei lavoratori.
Tra tutte, si riportano le dichiarazioni della Segretaria del PD, Elly Schlein, la quale ha dichiarato “arriva dalla Cassazione, con una sentenza storica, una indicazione che conferma la necessità e l’urgenza di stabilire un salario minimo secondo i principi stabiliti dalla Costituzione. La contrattazione collettiva, specie in alcuni settori, va sostenuta, affinché sia sempre garantito a chi deve lavorare per vivere il diritto a un’esistenza dignitosa”; le fa eco Carlo Calenda, leader di Azione, che afferma “con la sentenza che conferma la necessità di un salario minimo legale, la Cassazione è arrivata dove invece fino a ora il governo ha temporeggiato”.
La sentenza della Corte di Cassazione
Nello specifico, nel ricorso di un lavoratore sottopagato dalla cooperativa di vigilanza di cui era dipendente, la Corte di Cassazione ha affermato che “nell’attuazione dell’art. 36 Costituzione il giudice, in via preliminare, deve far riferimento, quali parametri di commisurazione, alla retribuzione stabilita nella contrattazione collettiva nazionale di categoria, dalla quale può discostarsi, anche ex officio, quando la stessa entri in contrasto con i criteri normativi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione dettati dall’art. 36 Costituzione, anche se il rinvio alla contrattazione collettiva applicabile al caso concreto sia contemplato in una legge, di cui il giudice è tenuto a dare una interpretazione costituzionalmente orientata”; e non è il solo passaggio fondamentale, perché la stessa Corte poi, al fine della determinazione del giusto salario minimo costituzionaleindica che “il giudice può servirsi a fini parametrici del trattamento retributivo stabilito in altri contratti collettivi di settori affini o mansioni analoghe”.
Risvolti futuri e politici
Le motivazioni espresse dai giudici della Corte di Cassazionesicuramente sono portate, non solo ad alimentare un dibattito politico, ma anche a porsi come pietra miliare in future decisioni in tale contesto. Infatti, affinché sia data piena attuazione dell’art. 36 della nostra Carta, il quale stabilisce che il lavoratore “ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”, non solo bisogna far riferimento ai contratti collettivi nazionali come parametri di commisurazione della retribuzione, ma, laddove essi non siano sufficienti, il giudice ha il potere d’ufficio di discostarsene se la retribuzione indicata negli stessi non sia proporzionale e sufficiente a dar dignità al lavoratore stesso; e ciò che rende ancora di più interessante la pronuncia è come lo stesso giudice non debba preoccuparsi di un rinvio ai contratti collettivi nazionali al caso concreto se contemplato in una legge. Di più, può far riferimento, per determinare il giusto salario, a contratti collettivi di settori affini, o comunque per mansioni analoghe.
Non c’è dubbio che una sentenza di tale portata alimenterà lo scontro tra maggioranza ed opposizione, in un periodo non già di per sé facile, per via della Nadef, che anticiperà poi la Legge di Bilancio 2023.
È pur vero che il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, pur sollevando alcune perplessità riguardo l’introduzione del salario minimo, preferendo più il dibattito sui contratti collettivi, ha comunque intrapreso un dialogo con le opposizioni, al fine di confrontarsi e dibattere sul tema; n’è un esempio anche il coinvolgimento del Cnel, il quale appunto ha indicato il suo parere negativo.
Nella difficoltà di poter prevedere ciò che accadrà, se il salario minimo sarà introdotto o meno in Costituzione, certo è utile fare una riflessione: la sentenza pronunciata è significativa di come la Costituente pose – e sul quale vi è un romanzo bellissimo, Fondata sul lavoro, del Prof. Alfonso Celotto, edito da Mondadori – un’attenzione particolare al tema del Lavoro, addirittura inserendolo nell’art. 1 della Costituzione. Un segno di diverse fazioni politiche che insieme decisero che il Lavoro dovesse essere il perno della nostra Carta: spesso dimenticato, ma che viene ricordato dal nostro Presidente della Repubblica, in numerose sfaccettature (la maggior parte delle volte, purtroppo, quelle più drammatiche delle morti nei luoghi dei lavori); e, nell’ottica della Dottrina sociale della Chiesa, più volte anche richiamato da Papa Francesco, per ridare dignità all’Uomo, che molte volte viene a mancare.